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Slow West | Michael Fassbender, Ben Mendelsohn e quel piccolo cult da rivedere

Fassbender, Kodi Smit-McPhee, un ragazzo perduto nel West e un bel film da rivalutare

Slow West
Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee in una scena di Slow West

MILANO – Un film indipendente, un’opera prima di un regista e sceneggiatore scozzese, John Mclean, finito però nel dimenticatoio nonostante il grande cast e la solidità della trama. E pensare che Slow West venne accolto molto bene qualche anno fa al Sundance, era il 2016, che lo insignì addirittura del Premio della Giuria, un fatto quanto meno singolare per un film così smaccatamente di genere. Ma quale genere? Il western, ovviamente – altrimenti non sarebbe finito nella nostra rubrica West Corn – e in particolare il richiamo alla fase crepuscolare della sua storia, ovvero quella in cui si era smesso di guardare al mito del West con riverenza, per sottolinearne invece l’aspetto violento e cinico, un luogo a cavallo (nel vero senso della parola) tra lo stato di natura di Hobbes e il Medioevo.

Slow West
Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee, ovvero Silas Selleck e Jay Cavendish in Slow West.

Girato in Nuova Zelanda, ambientato negli Stati Uniti in luoghi che avrebbero fatto felice John Ford, Slow West – totalmente inedito in Italia, lo trovate in streaming a noleggio su Apple TV, Prime Video e Rakuten – potrebbe essere letto come un’interpretazione europea di quegli anni, tanto è vero che il protagonista è un ragazzo scozzese di buona famiglia che nel 1870 decide di avventurarsi tra i boschi del Colorado per ritrovare la sua amata Rose Ross (Caren Pistorius), costretta a fuggire in America con il padre John (Rory McCann) a causa di un incidente per cui il pover’uomo è ricercato nel suo Paese.

Caren Pistorius è Rose Ross, l’amata di Jay.

Ma per un ragazzino come Jay Cavendish (interpretato da un ottimo Kodi Smit-McPhee, ricordate The Road?), camminare in quelle zone da solo con il suo cavallo, un po’ di viveri e una mazzetta di dollari, può rivelarsi pericoloso, molto pericoloso. A guidarlo sono il cuore, la purezza d’animo e la sua incosciente giovinezza, ma i personaggi che potrebbe incontrare – e che incontrerà – sono di tutt’altra specie: ex militari dediti alla caccia all’indiano e a caccia di soldi, gruppuscoli di banditi per cui la vita (degli altri) vale una manciata di monete e solitari cowboy in cerca di una strada, a cui comunque è sempre meglio non mettere i bastoni tra le ruote.

Prima di Star Wars e Ready Player One (e Bloodline): Ben Mendelsohn.

Per sua fortuna (forse) Jay incappa in Silas Selleck (Michael Fassbender), misterioso individuo che si è fatto le ossa lavorando per la banda di Payne (Ben Mendelsohn, meraviglioso, prima di essere scoperto da Hollywood, da Star Wars e Spielberg, e basterebbe solo lui), con cui ha imparato a sparare e a non provare sentimenti. Ma Silas, che è irlandese – come Fassbender – sotto la corazza sembra avere un cuore, o forse ne ha avuto uno, tanto che decide di scortare il ragazzo fino a destinazione. Sì, lo fa per soldi, ma Jay – e noi spettatori – sappiamo bene che quei soldi avrebbe potuto rubarglieli facilmente. Perché questa certezza? Perché in questo modo diamo credito al cowboy, e anche Jay si sente protetto perlomeno finché non scopriamo una fatto sconvolgente: sulla testa dell’amata Rose e del padre pende una taglia di duemila dollari, per cui risulta evidente che Silas potrebbe usare il ragazzo per trovare i due e, a quel punto, pur avendo rispettato il patto, ucciderli. Come si comporterà? Tradirà il nuovo amico? Prevarrà il buon cuore o il pugno di dollari?

Fassbender e Kodi Smit-McPhee in un’altra scena.

E qui torniamo a noi: ma perché mai a questo punto dovreste mettervi in sella e guardare Slow West? Molto semplice: oltre alla colonna sonora di Jed Kurzel (fratello di Justin, regista di Macbeth e di recente di Nitram), perché Mclean – che in origine era un musicista, fondò la The Beta Band – decide di mettere in scena non tanto una storia dal west, quanto più una storia nel west, un road movie con dentro due stranieri con esperienze diverse e approcci differenti. Ma lo stare insieme sarà occasione di crescita reciproca: il giovane borghese ingenuo imparerà la durezza del mondo, mentre l’uomo disilluso avrà l’opportunità di comprendere cosa stia diventando e di provare a riconciliarsi con l’uomo che (soprav)vive dentro di lui.

Fassbender in una pausa sul set a Twizel, in Nuova Zelanda.

La parte finale di Slow West – che, se non siete ancora convinti, è stato prodotto dalla A24 – pare in qualche modo rivolgersi anche ai malvagi dei vecchi film di Sam Peckinpah e dire loro: «Ragazzi, ma non siete stanchi di tutto questo?». Ed è proprio qui che la civiltà supera il caos del West, ma non è (solo) la vittoria dei buoni sui cattivi, non unicamente l’happy end, ma piuttosto un percorso psicologico necessario: il vivere civilmente non solo ha una funzione conservativa, ma è l’unico stadio del vivere comune in cui ciascuno può esprimere appieno il suo essere ed emanciparsi. Esattamente come Silas.

  • WEST CORN | Altri western? Ecco la nostra sezione WestCorn
  • VIDEO | Qui il trailer di Slow West:

 

 

 

 

 

 

 

 

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