MILANO – Dopo la sfida tra i due Bond (che potete rileggere qui), le due Lisbeth Salander (qui), le due Catwoman (qui) nonché l’affascinante Gatsby di DiCaprio contro quello di Redford (qui), nella puntata di Fight Corn vi invitiamo a salire sul ring per assistere allo scontro tra due pesi massimi della regia: Christopher Nolan – reduce dal trionfo agli Oscar con Oppenheimer – contro David Fincher, che invece con il suo The Killer ha diviso critica e pubblico. Siete pronti? Prendete posto.

CHRISTOPHER NOLAN – Andiamo con ordine: Nolan si fa conoscere come regista nel 2000 con Memento, il primo vero e proprio lungometraggio di finzione (il precedente Following durava poco più di un’ora). Il punto di forza è la storia, raccontata a ritroso, in maniera disordinata e non lineare, il cui protagonista Leonard (Guy Pearce) ha perduto la memoria breve e non riesce a ricordarsi chi abbia incontrato e che cosa gli sia accaduto fino a quindici minuti prima. Quella che appare soltanto un’originale trovata di sceneggiatura diventerà il marchio di fabbrica della scrittura di Nolan: flashback, flashforward, puzzle narrativi, inconscio, subconscio, rimosso e ovviamente un tripudio di colpi di scena. Strati, incastri, piani, livelli: si tratti di una rivisitazione dello schema più classico del crime-noir (Insomnia, 2002) piuttosto che di un’originale e drammatica rivalità tra due prestigiatori nella Londra vittoriana (The Prestige, 2006, sottovalutatissimo).

Nolan concepisce il cinema come una gigantesca macchina di trucchi e inganni da smontare e ricomporre ogni volta per garantire la sua corretta e spettacolare manutenzione. Il regista è una sorta di mago che deve alzare l’asticella della difficoltà, puntare sempre verso l’alto, attirare sempre più attenzione e sbalordire sempre più persone: perciò, la trilogia di Batman è un’escalation continua di antieroi ed effetti speciali costruita in verticale come un grattacielo che mira a toccare il cielo fino a dove sia possibile, fino al vertice delle concitazioni. La vera ambizione di Nolan però è di superare ogni barriera e arrivare a esplorare l’universo e l’infinito: Interstellar (2014) riesce nell’audace impresa di abbattere i confini spazio-temporali ricordando che, nonostante tutto, all’origine ci sono i sentimenti, Tenet ci prova, non ci riesce fino in fondo.

Gli Oscar di Oppenheimer sono storia e il giusto riconoscimento di Hollywood per un grande autore anche se spesso il cinema di Nolan emoziona quando – paradossalmente – si fa piccolo e intimo: come nel caso del personaggio di DiCaprio alias Dom Cobb di Inception (2010), che agisce nel nome dell’amore per la sua Mal, oppure della disperata battaglia per la sopravvivenza di Dunkirk (2017), dove l’unica vittoria che conta è riuscire a tornare a casa.
DAVID FINCHER – Se Nolan sogna e guarda verso l’alto, il cinema di David Fincher radiografa, ispeziona e interroga gli spazi chiusi e orizzontali degli uomini. Il suo nome comincia a circolare con Seven (1995), centrato su un serial killer che colpisce ispirandosi ai sette peccati capitali e pieno di ambientazioni sinistre e di una visione pessimistica della natura umana. La distorsione della mente, la schizofrenia, la banalità del Male costituiscono la spina dorsale della sua filmografia: Fight Club (1999, ve lo abbiamo raccontato qui) è il brutale adattamento di un romanzo di Chuck Palahniuk su un gruppo di individui che combattono tra di loro senza esclusione di colpi, ma il bersaglio è la società dei consumi che produce scissione della personalità e annientamento; Panic Room (2002) è un thriller ambientato in un bunker supertecnologico asfissiante, opprimente e claustrofobico.

E poi ecco il sottovalutato Zodiac (2007), che spinge fino all’ossessione professionale il desiderio di vivisezionare le caratteristiche di un omicida seriale. Più Nolan si direziona in avanti, più la ricerca antropologica di Fincher si muove in retromarcia: emblematico è Il curioso caso di Benjamin Button (2008), dove il protagonista invecchia anagraficamente diventando fisicamente sempre più giovane. L’analisi del presente e l’evoluzione del modo di comunicare sono al centro di The Social Network (2010), infiammato dalla velocità dei dialoghi e dalla cinica descrizione dei rapporti personali. Così come la manipolazione e l’invadenza dei mass media nell’universo privato e famigliare caratterizzano la suspense e le svolte inattese de L’amore bugiardo (2014), in cui il ritorno a casa è vissuto come un incubo quotidiano da cui è impossibile fuggire.

Il nichilismo e la violenza sono gli ingredienti di Millennium – Uomini che odiano le donne (2012), un’altra fotografia dell’orrore insita nella malfunzione dei sistemi che determinano il principale oggetto delle analisi di Fincher, ovvero la nostra dis-organizzazione sociale. Gli incidenti, le anomalie, le alterazioni della convivenza e della normalità rappresentano i fili rossi che legano storie senza nessuna via d’uscita. E poi Mank, che meriterebbe un capitolo a parte, e infine The Killer, parziale ritorno alle atmosfere dei primi film.
IL VERDETTO – Dovrebbe vincere David Fincher per la spietata e crudele disamina del fattore umano, ma alla fine si va ai punti. Nolan abbina rompicapi e sentimenti per raggiungere un nuovo livello di maestria (illusione?) cinematografica. Fincher, invece, adotta l’eterogeneità degli strumenti e dei linguaggi per sviscerare e provare a comprendere i lati oscuri della società e dei comportamenti. Nolan vs Fincher è un prestigiatore contro un chirurgo: se per il primo il fine dell’arte è la meraviglia stessa, per il secondo è un’operazione a cuore aperto di racconto, indagine e riflessione. Pareggio. Impossibile scegliere.
- FIGHT CORN #1 | Sean Connery vs Daniel Craig
- FIGHT CORN #2 | Michelle Pfeiffer vs Anne Hathaway
- FIGHT CORN #3 | Noomi Rapace vs Rooney Mara
- FIGHT CORN #4 | Robert Redford vs Leo DiCaprio
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