ROMA – «And the winner is… La La Land». La figuraccia di qualche anno fa, con l’errata vittoria del musical di Damien Chazelle al posto di Moonlight, è un ricordo ancora vivo nella storia degli Oscar, ma non il più spinoso. Prima del lockdown, della protesta #OscarSoWhite, degli abiti neri e delle spillette di Time’s Up, ci pensò infattti Marlon Brando, che scioccò e divise la platea del Dorothy Chandler Pavilion senza nemmeno presentarsi. Come sempre, un maestro. Era il 27 marzo 1973, l’anno delle dieci nomination a Il Padrino di Francis Ford Coppola, l’opera che permise proprio a Brando di riemergere da un periodo piuttosto difficile e vincere il secondo Oscar dopo quello ricevuto nel 1955 per Fronte del Porto.
Per annunciare la vittoria di Brando arrivarono sul palco Liv Ullmann e Roger Moore. Peccato che, mentre in sottofondo riecheggiavano le note della colonna sonora del film firmata da Nino Rota, a raggiungerli non fu l’attore, ma Sacheen Littlefeather – al secolo Marie Louise Cruz – attrice e attivista per i diritti dei Nativi Americani. Con i capelli neri raccolti in due lunghe code laterali arricchite di perline e un vestito adornato con frange e stampe tradizionali, Sacheen salì sul palco, rifiutando con un gesto delicatissimo la statuetta mentre impugnava dei fogli. Erano le quindici pagine scritte da Brando per spiegare le ragioni del suo rifiuto. L’attivista poté leggerle per intero però solo nel backstage e il New York Times le pubblicò interamente il giorno seguente.
Il motivo? Uno dei produttori degli Oscar aveva minacciato di farla arrestare se il discorso fosse durato più di sessanta secondi. Inoltre John Wayne – icona del cinema americano che di pellerossa ne aveva ammazzati parecchi nei suoi western – era pronto a trascinarla giù dal palco. Così la donna, intimorita ed emozionata, improvvisò il discorso davanti alla platea del Dorothy Chandler – tra urla di disapprovazione e applausi – e a quasi novanta milioni di telespettatori in diretta: «Questa sera rappresento Marlon Brando. Mi ha chiesto di dirvi […] che è davvero dispiaciuto di non poter accettare questo premio. La ragione è dovuta al trattamento degli indiani d’America nell’odierna industria cinematografica […] e televisiva, anche rispetto ai recenti avvenimenti di Wounded Knee».
Il risultato ottenuto da Brando – interessato alla questione dei Nativi dagli anni Sessanta e anticipatore anche in questo – fu che la stampa si recò in South Dakota dove l’American Indian Movement aveva occupato la riserva di Wounded Knee (già scenario del massacro del 1890) come atto di protesta contro le politiche del Governo. Un’attenzione mediatica che non piacque all’FBI che, per vendicarsi, iniziò a diffondere falsità sull’attivista indiana, precludendole la carriera. Sacheen Littlefeather – scomparsa ora a 75 anni – ha poi continuato a lottare a favore dei diritti civili e non si è mai pentita di essere salita su quel palco: «Rosa Parks fu la prima a sedersi su quell’autobus. Qualcuno doveva essere il primo a pagare il prezzo del biglietto. Sono stata io…».
- Qui sotto potete il celebre discorso di Sacheen agli Oscar del 1973:
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