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Andrea Renzi: «Il pallone, l’epica e Di Bartolomei: quei giorni sul set de L’uomo in più»

Il pallone, le battute, Braglia e Agostino. La seconda puntata sui vent’anni di un cult: L’uomo in più

Andrea Renzi nel ruolo di Antonio Pisapia ne L'uomo in più.

ROMA – Un falso movimento. Un pallone in curva. Il nome di un calciatore. La maglia di Agostino. Se nella prima puntata del nostro speciale dedicato ai vent’anni de L’uomo in più di Paolo Sorrentino eravamo andati dietro le quinte con il produttore Nicola Giuliano – lo trovate qui – per questo secondo capitolo eccoci davanti alla macchina da presa. «Prima però venga messa agli atti una cosa: non sono mai stato dotato calcisticamente», ride Andrea Renzi, oggi attore e regista teatrale, allora interprete di Antonio Pisapia, giocatore di calcio allineato poco (e pure male). «Da dove cominciamo? Dalla compagnia Teatri Uniti di Napoli, con Mario Martone, che arrivava da Falso movimento: l’avevamo fondata nel 1979 citando Wim Wenders. Facevamo teatro, eravamo appassionati di cinema, nelle nostre intenzioni siedevamo al confine. Fu Mario con Morte di un matematico napoletano nel 1992, a fare il primo passo verso il cinema». Siamo a Napoli, negli anni Novanta, in un crocevia in cui si mescolano talenti, cuori e passione.

Andrea Renzi con Nello Mascia ne L’uomo in più. Foto di Gianni Fiorito.

Siamo su un altro set, non quello giusto, quasi: è ancora Il verificatore di Stefano Incerti, film in cui si incontrano Giuliano e Sorrentino, a cui Renzi non partecipa: «No, ma avevo conosciuto Nicola e in quel momento c’era uno spirito di squadra talmente forte che il debutto di Incerti fu vissuto da tutti come nostro. Lo sentivamo nostro. Era nostro. C’erano dei giovani che si affacciavano sul set per la prima volta, c’era il sogno, c’erano le speranze». Passano gli anni, L’uomo in più entra in fase di progettazione e, tra i nomi, ecco che finisce sul tavolo anche quello di Andrea Renzi. Potrebbe essere lui Antonio Pisapia: ha lo sguardo giusto, il portamento giusto. Triste, solitario y final, direbbe qualcuno che di calcio ne sapeva. Ma c’è un problema: il pallone. «Ecco», ricorda Renzi, «diciamo che non sono molto dotato calcisticamente e nel momento della scelta l’aspetto pesava, eccome se pesava. Ricordo che dopo avermi visto palleggiare Paolo si mise le mani nei capelli e con Nicola cercarono subito alternative  (ride, nda)».

I titoli di testa de L’uomo in più.

La storia di Renzi ne L’uomo in più potrebbe finire qui, prima del fischio d’inizio. Invece no. «Ricordo ancora oggi con estrema precisione il momento in cui Paolo mi mandò la sceneggiatura. La lessi subito e rimasi a bocca aperta: era il film. Era già il film. Non solo c’era tutto, ma le scene erano già scolpite. Battuta su battuta. Battuta su battuta. Chiamai Paolo e lui si convinse, mi affidò a un suo amico che aveva vissuto la stessa vicenda di Pisapia, con la carriera stroncata da un grave infortunio». Un pallone, un campo e un tackle da dietro. Tanta palestra, molte domande a chi da sempre abitava il mondo del calcio. Le scarpe. I calzettoni. Battuta su battuta. E qualche piccolo tic: «I pantaloncini, il modo in cui me li sistemavo. E poi l’accento, la ricerca dell’ingenuità di quest’uomo pulito, idealista». In filigrana molti calciatori, molte figure diverse cadute fuori da un vecchio albo Panini. E poi c’era lui: Agostino Di Bartolomei.

Agostino Di Bartolomei con le maglie della Roma e del Milan.

«Con Paolo parlammo di Di Bartolomei, molte volte. Ricordo che leggemmo anche una biografia che era uscita proprio in quel periodo, ma per aspetti differenti che andavano al di là del tragico epilogo che ebbe poi la sua vita». Di Bartolomei, capitano della Roma dello scudetto, leader silenzioso, carismatico quanto schivo, si era sparato a San Marco, una frazione di Castellabate, in provincia di Salerno, pochi anni prima: era il 30 maggio del 1994. «Di Bartolomei aveva solo Nils Liedholm che lo seguiva e lo consigliava con grande affetto, ma non riusciva a stare dentro il mondo del calcio, non ci si trovava. Una caratteristica che portammo dentro L’uomo in più fu proprio la sua assoluta incapacità di scaltrezza, di furbizia, di quel mestiere che solitamente hanno i calciatori».

Sul set de L’uomo in più: Andrea Renzi con Paolo Sorrentino e Nello Mascia.

Pisapia e Di Bartolomei, l’epica e la solitudine, il pallone e la poesia. E il pareggio? Non esiste. Mai. «Uscì così questo grande personaggio di uno dei pochi film sul calcio davvero riusciti», riflette Renzi. «Eravamo in bilico tra drammatico e ridicolo in una pellicola che sapeva raccontare i risvolti umani dietro all’evento sportivo. Quando tutto finisce e l’arbitro fischia cosa succede? Qualche anno fa con Nello Mascia abbiamo portato a teatro The Red Lion di Patrick Marber, altro grande testo di argomento calcistico». Attorno alla storia, altre vicende ruotano e si mescolano, indistinte, con Sorrentino che incontra Bruno Pesaola, l’argentino di Napoli prima di Diego, e mette tutto nel film, in molti modi, non tutti lineari. Perché nulla è lineare, figuriamoci un pallone. «E poi? Ricordo Venezia, il debutto del 1° settembre del 2001 e la sensazione che fosse un film forte, che non ti lasciava indifferente…».

La citazione di Amiri Baraka in apertura di film.

In sala L’uomo in più incassa poco, fa fatica, ma per una ragione ben precisa: sa già che non è quella la sua partita. Come quei calciatori che migliorano invecchiando, L’uomo in più si prende il suo tempo, lascia andare tutto e tutti e inizia ad amministrare il pallone con una melina lunga anni. Sta a centrocampo e aspetta. «Anni, sì. Molti anni», ricorda Renzi, «tanto che molto tempo dopo io e Toni (Servillo, nda), in giro in tour venivamo fermati da persone che avevano visto il film anche quindici volte. Sapevano le battute a memoria. Professori e parcheggiatori abusivi, intellettuali e gente comune. Lì ho capito cos’è davvero un cult, un film che non è arrivato alla massa, ma che continua inesorabile il suo percorso sotterraneo, tramandato di persona in persona». Senza fretta, senza tempo, senza classifiche.

Le figurine di Giorgio Braglia, al Napoli dal 1973 al 1976.

Ci sarebbero altre cose da dire, ci sarebbe una proiezione pubblica a Capodimonte con Renzi che ritrova Pisapia e il ricordo di quelle parole che sul set andavano ripetute esattamente com’erano scritte. «E mentre giravamo, Paolo aveva già un’altra sceneggiatura pronta. Incredibile». La partita sta per finire, mancano pochi secondi al triplice fischio finale quando Andrea Renzi estrae dall’album un’ultima figurina, un cross inatteso che va solo appoggiato in porta: la figurina è quella di Giorgio Braglia, il George Best italiano, acquistato nel 1973 dal Napoli di Luís Vinício. «Se ci fate caso il look di Antonio Pisapia è molto simile a quello di Braglia. Ha i baffoni, i capelli scalati a cadere dietro sul collo. Ricordo che me li stavo facendo crescere, ma sul set de Le fate ignoranti di Ozpetek, che stavo girando in contemporanea e in cui interpretavo il marito di Margherita Buy, me li accorciarono. Quando tornai sul set de L’uomo in più, non ve lo dico nemmeno: Paolo mi guardò e si arrabbiò tantissimo…».

  • Prossima puntata: 5 agosto, Pasquale Catalano
  • L’UOMO IN PIÙ 20 | Il produttore: Nicola Giuliano 
  • LA CLIP | Una scena di Andrea Renzi ne L’uomo in più:

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