ROMA – Da quasi dieci anni mancava dalle scene Catherine Breillat, regista francese cult, soprattutto per un discorso spesso scandaloso sulla sessualità. Con grande gioia e sorpresa è stato dunque accolto il suo ritorno in concorso a Cannes nel 2023 con Ancora un’estate (L’été dernier in v.o.), adesso in sala grazie ai sempre apprezzati sforzi di Teodora Film e nuovo protagonista del nostro French Touch. Anne (Léa Drucker) è un’avvocata specializzata in casi di ragazzine vittime di abuso e, fuori dal tribunale, conduce un’agiata vita borghese tra un ricco marito (Olivier Rabourdin) che ne ama ancora mente e corpo e due bambine adottate, per sopperire ai figli che non ha potuto avere. Ma a sconquassare l’equilibrio di quest’esistenza tra Mercedes decappottabili ed eleganti tubini e tailleur, arriva il giovane Théo (Samuel Kircher), il figlio diciassettenne che il marito ha avuto da un matrimonio precedente. Non partirà con il piede giusto questo rapporto, salvo poi convertirsi in qualcosa di pauroso e potenzialmente proibito.

Ciò che si apprezza nella regia di Breillat è il suo non essere giudicante o vittima di facili moralismi nei confronti dei suoi protagonisti. Di Anne e Théo comprendiamo bene tutte le fragilità e altrettanto bene il bisogno di abbandonarsi a una pulsione che forse è sbagliato tener sopita o soppressa (Woody Allen direbbe: Basta che funzioni). Breillat sta loro addosso con la macchina da presa per catturare tutta la complicità e, in fondo, il benessere derivante da qualcosa che la moralità comune tenderebbe ad aborrire. In prima battuta è soprattutto il fascinoso Théo a flirtare con lei e a farla cadere vittima del suo anche un po’ impacciato ma convincente savoir-faire: salta sul tappeto elastico con le sorellastre con la stessa nonchalance con cui sa essere abile uomo vissuto con la loro madre. Solo in una seconda fase, dunque, Anne dimostra la sua maggiore età e la sua maggior capacità di giocare con la vita, perché con più esperienza. Sia ben chiaro che il discorso è qui improntato sull’attrazione sessuale più che su una genericamente platonica: a scanso di equivoci siamo ben lontani da una narrazione à la Harold e Maude.

Pur non vincitore nella categoria di miglior promessa maschile ai César 2024, Samuel Kircher è la vera scoperta di Ancora un’estate e non ci stupiremo nel vederlo prossimamente come nuova star dell’olimpo cinematografico d’Oltralpe. Complici fattezze simili a quelle del bellissimo Tadzio di “Morte a Venezia”, Kircher convince con quest’aria da finto bohémienne che tiene in mano la sigaretta con quel tipico impaccio dei primi tempi e che, dietro un palesato vegetarianismo, mangia prodotti da fast food perché «Il Big Mac non è carne: è delizioso». Dal canto suo Drucker sembra letteralmente ringiovanire man mano che si abbandona a questa passione proibita, senza dover ricorrere al geniale escamotage dell’incredibile ma vero di Quentin Dupieux e gioca perfettamente con questo ambiguo ruolo di avvocata che combatte gli abusi, mentre si scopre ella stessa potenziale abusatrice.

Proprio nel racconto della passione il film fa centro e acquista maggior credibilità: basti confrontare le inquadrature vivide e pulsanti sulle prime effusioni tra Anne e Théo, in opposizione a quelle ben più abitudinarie e noiose di Anne con il marito. Dove la pellicola si arena un po’ è, invece, nel necessario scioglimento della vicenda quando i famosi nodi devono venire al pettine. Da quel momento in poi il film perde il vigore eversivo che l’avevano reso accattivante e croccante fino a quel punto, così convertendosi in un dramma borghese ben più canonico, ma che lascia comunque al suo pubblico un quesito filosofico stimolante: fin dove è legittimo abbandonarsi alle proprie pulsioni?
Lascia un Commento