ROMA – «Se io abbandonassi questo progetto? Sarei un uomo senza sogni, e non voglio vivere in quel modo. Vivo e muoio con questo progetto». Così parlò Werner Herzog a proposito di Fitzcarraldo, presentato in concorso a Cannes 35 il 21 maggio 1982, dove vinse il Prix de la mise en scéne, per poi arrivare nelle sale italiane il 23 novembre dello stesso anno. Al contempo grande sogno ed elogio alla follia, un’opera unica di indescrivibile bellezza che nel raccontare del viaggio dell’affarista Brian Sweeney Fitzgerald alias Fitzcarraldo (Klaus Kinski) – moderno Sisifo caratterialmente vestito dell’eterno conflitto nietzschiano tra Apollineo e Dionisiasco – vive di sguardi allucinati e auto-suggestioni nella codifica filmica del sogno impossibile di un idealista dal vestito bianco spiegazzato e parecchio sporco che riuscirà (letteralmente) a spostare le montagne: «Chi sogna può spostare le montagne…».
Un’impresa, quella del poetico viaggio di Fitzcarraldo reso da Herzog narrativamente funzionale all’esplicitazione dell’arco di trasformazione della dimensione individuale dell’omonimo protagonista da folle perdente ad avventuriero vincente, la cui realizzazione è disgregazione di progetti incompiuti ed auto-affermazione dell’individuo verso un fine (solo apparentemente) utopico, in barba ai pragmatici non-sognatori del mondo. E non unicamente nella finzione. Liberamente ispirato alla figura storica del barone della gomma peruviano Carlos Fermìn Fitzcarrald, che nel 1890 organizzò il trasporto di un piroscafo di trenta tonnellate attraverso un istmo da un fiume all’altro, la stessa lavorazione di Fitzcarraldo visse della stessa inerzia di cui è pervasa la narrazione: folle e caoticamente sognatrice. Facciamo un passo indietro.
No, non voleva realizzarlo nessuno Fitzcarraldo, almeno per come lo immaginava Herzog: realistico, registicamente crudo, vero, del tutto privo di effetti speciali. Si fece sotto la 20th Century Fox che nel 1979, forte del successo del precedente di Nosferatu – Il principe della notte (di cui potete leggere qui), al momento del pitch del regista tedesco disse chiaro e tondo: «Lo farai, si, ma con una barca in miniatura». A detta di Herzog: «Da lì in poi fu chiaro che nessuno nel settore avrebbe mai prodotto qualcosa del genere. Ho cercato di spiegare loro che volevo che il pubblico sapesse che al livello più fondamentale, era reale». Che potesse, cioè, fidarsi unicamente dei propri occhi senza l’ingannevole filtro della CGI.
Lo produsse da sé Fitzcarraldo, prendendosene i rischi con la sua Werner Herzog Filmproduktion e grazie al sostegno della Pro-ject Filmproduktion, la Filmverlag der Autoren (casa distributiva principe dei maestri del Nuovo cinema tedesco), e la televisione di stato tedesca ZDF. Pronti via e nel novembre del 1979 Herzog volò in America Latina per iniziare le riprese, o almeno così credeva. L’aver edificato il campo base in una zona tribale in un’area del Perù vicina al confine con l’Ecuador non fu presa bene dalla tribù locale degli Aguaruna che – inizialmente in ottimi rapporti con la produzione – finì con l’opporsi loro in tutti i modi. L’apogeo fu raggiunto l’1 dicembre dello stesso anno quando, di buon mattino, l’accampamento della produzione di Herzog fu circondato da un gruppo di indigeni armati che intimarono tutti, con le buone, di andarsene.
Sgombrata la zona gli Aguaruna diedero alle fiamme quel che restava del passaggio di Herzog e della sua troupe rendendola finalmente pura. Questo fermò Fitzcarraldo, è vero, ma non del tutto. Dopo oltre tredici mesi di scouting Herzog trovò un luogo adatto alle riprese che iniziarono, per davvero, nel gennaio del 1981 ma in modo molto diverso da quel che sarà poi il risultato finito. Nei piani originari di Herzog infatti sarebbe dovuto essere Jack Nicholson a prestare volto e corpo alla follia sognatrice di Fitzgerald. Lesse perfino lo script e rimase estasiato dalla visione di Herzog. Il suo cachet da 5 milioni di dollari però rese impossibile l’ingaggio. Si puntò così su Jason Robards che accettò di buon grado la parte. Al suo fianco un inedito Mick Jagger nei panni di Wilbur, la spalla di Fitzcarraldo.
Dopo circa un mese e mezzo della lavorazione, e con il 40% delle riprese già ultimate, l’imprevisto: l’ex-Cheyenne di C’era una volta il West si ammalò di dissenteria. Il responso medico era chiaro: non può tornare sul set. La produzione di Fitzcarraldo fu così sospesa per oltre sei settimane. Il motivo? Herzog sperava di recuperare il suo protagonista. Poi l’ennesimo imprevisto: per impegni musicali pregressi Jagger dovette sciogliere il contratto. A quel punto, con il personaggio di Wilbur riscritto come Molly reso grande da una Claudia Cardinale sgraziata ed emaciata, pur di salvare il progetto e – ricordiamolo – contro ogni fibra del suo essere, Herzog chiamò l’amico-nemico Kinski fino a quel momento mai preso in considerazione per il ruolo da protagonista, e per una ragione molto semplice.
Dopo la difficile esperienza sul set di Aguirre furore di Dio di dieci anni prima, temeva che l’Amazzonia l’avrebbe reso completamente fuori di testa. Ci vide benissimo. Tanto fu caotico e impossibile da gestire che, dopo settimane di urla e gesti violenti di rabbiosa follia, uno dei capi-tribù della zona offrì a Herzog i suoi servigi per sbarazzarsi di Kinski. Anni dopo Walter Saxer – che con Kinski si scontrò quotidianamente per ragioni delle più banali – smentì la diceria, ma nulla ci toglie dalla testa come, visti i precedenti tra Kinski ed Herzog, la sola ipotesi che qualcuno si fosse offerto per un simile incarico potesse essere vera. La lavorazione di Fitzcarraldo, in ogni caso, riaprì i battenti nell’aprile del 1981 e non senza incidenti. Uno su tutti? Il direttore della fotografia Thomas Mauch si ferì gravemente la mano nel tentativo di filmare l’emozionante climax di Fitzcarraldo.
L’incidente richiese un intervento d’urgenza di due ore e mezza, senza anestesia, per rimetterla in sesto. E ancora: un taglialegna peruviano venne morso al piede da un serpente dal veleno mortale, in tutta risposta si amputò l’arto per prevenire la diffusione del veleno, scelta commentata da Herzog come: «Una buona decisione, è sopravvissuto». Un altro macchinista sopravvisse – per miracolo – ad una freccia in gola scagliata da uno degli Aguaruna, e una donna fu ferita allo stomaco richiedendo un intervento di urgenza di oltre otto ore su di un tavolo da cucina così raccontato da Herzog: «Ho assistito illuminando la sua cavità addominale con una torcia. Con la mano libera spruzzavo repellente per le nuvole di zanzare che sciamavano intorno al sangue». Il grosso dei problemi per Fitzcarraldo però riguardava la gestione della mastodontica nave scenica.
Herzog ne aveva due a disposizione: la Nariño, usata solo per le riprese a Iquitos, e la Huallaga utilizzata per le riprese nella giungla. Del peso di trecento tonnellate (contro le trenta dell’originale di Fitzcarrald) Herzog fece realizzare una copia della Huallaga per le riprese nelle rapide e per il climax. Per il traino della nave sulla montagna Herzog chiese l’aiuto dell’ingegnere brasiliano Laplace Martins che progettò il sistema di argani mostrato poi in Fitzcarraldo. Dalla sua Martins temeva che fosse un sistema pericoloso, specie perché – progettato su un’inclinazione di 20 gradi – Herzog lo utilizzò su di un pendio di 40. Il risultato? L’ingegnere abbandonò il progetto. Herzog fece di testa sua e al primo tentativo di muovere la Huallaga un tirante si ruppe e la nave scivolò di nuovo giù.
Bloccata ai piedi del pendio, Herzog utilizzò la sua copia per girare la scena delle rapide. Si incagliò pure lei. Ci vollero sei mesi e la stagione delle piogge prima che la nave riuscisse a disincagliarsi. Nel novembre del 1981, l’impresa di Fitzcarraldo si poté definire felicemente portata a termine. Non per Herzog però, che in un’intervista, alla specifica domanda «Cosa farai dopo aver finito il film?» rispose candidamente: «Non dovrei più fare film, dovrei andare direttamente in manicomio. […] Nessuno riuscirà a convincermi d’essere felice di tutto questo». Il regista finì poi con l’autodefinirsi Conquistador dell’Inutile. Nulla di più vero. Un’indimenticabile pagina di cinema targata Herzog – una delle tante – destinata per sempre all’immortalità del tempo…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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