ROMA – Dopo una notte di feroci scontri in Val di Susa, la squadra Roma Terza del Reparto Mobile resta orfana del suo capo, Pietro (Fabrizio Nardi), che rimane ferito in azione. Quella di Mazinga (Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè) e Salvatore (Pierluigi Gigante), però, non è una squadra come le altre, è Roma, che ai disordini ha imparato ad opporre metodi al limite e un affiatamento da tribù, quasi da famiglia. «Roma non si ferma, Roma non arretra» urla il loro motto declamato a gran voce come un mantra. Una famiglia con cui dovrà fare i conti il nuovo comandante, Michele (Adriano Giannini), figlio invece della polizia riformista, per cui le squadre come quella sono tutte da riformare, ma una nuova ondata di malcontento costringerà i celerini a mettersi in discussione. Ovvero ACAB: La serie, un evento seriale da non perdere.

La trovate su Netflix ed è ispirata all’omonimo film di Stefano Sollima del 2012 che qui figura come executive e la cui impronta si vede dappertutto nel ritmo e nel respiro scenico (ricorda molto le prime stagioni di Gomorra), che trova in Filippo Gravino un partner-in-crime eccezionale: ovvero lo sceneggiatore di quel gioiello neo-noir di Come pecore in mezzo ai lupi (che qui a Hot Corn abbiamo amato follemente) qui come ideatore e co-firmatario dello script assieme a Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini. Ed è uno spettacolo: sei puntate dallo sviluppo lineare, ma che si allargano come un ventaglio narrativo nel disegnare una dialettica eccezionale tra vita in divisa e privata. Che poi è la vera forza di ACAB: La serie, il suo essere composta di archi narrativi talmente potenti, radicati e dai drammi vividi che da soli varrebbero film interi.

Ognuno di essi fotografa una complessa umanità di individui lacerati di dolore, sfiduciati, corrosi dalla violenza, ragionando su vendetta e giustizia, destino e scelta – o molto più semplicemente redenzione e declino – e sul potere e le sue dinamiche. Sullo sfondo un’Italia che quattordici anni dopo Filippo Raciti e Gabriele Sandri si scopre sempre più xenofoba, violenta e tremendamente arrabbiata e avvolta dalla regia di Michele Alhaique in immagini cupe e ombrate dalla costruzione ricercata come fossero il riflesso dell’anima spezzata dei propri agenti scenici. Ecco, un tempo, per un prodotto come ACAB: La Serie si sarebbe parlato di Cinema prestato alla Televisione. Ma oggi, dove il confine tra i medium è sottile e labile, puoi permetterti interpreti come Bellè, Giallini e Giannini dando perfino loro ruoli da immortalità artistica. Un gioiello: Non vi resta che vederla.
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