ROMA – Inizia il gioco. Quello vero. Tre anni dopo aver vinto lo Squid Game e aver giurato vendetta alla fine della prima stagione, il giocatore 456 aka Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) rinuncia a recarsi negli Stati Uniti per svanire nel nulla godendosi la sua incredibile vincita, per tornare con un proposito in mente. Gi-hun si tuffa ancora una volta nel misterioso gioco di sopravvivenza, iniziando un’altra sfida mortale con nuovi concorrenti riuniti per vincere il premio di 45,6 miliardi di won. Riuscirà a regolare i conti in sospeso? Perché anche stavolta Front Man (Lee Byung-hun) sembra essere tutto meno che un avversario facile.

Dopo aver fatto la storia alla 74esima edizione degli Emmy diventando il primo asiatico a vincere il premio come Miglior regia di una serie drammatica, Hwang Dong-hyuk è ancora una volta al timone della serie nel triplice ruolo di regista, sceneggiatore e produttore. Squid Game 2 è finalmente su Netflix: aspettatevi di tutto! Perché – e lo mettiamo subito in chiaro – è una stagione di transizione questa. Lo scontro tra Gi-hun e Front Man proseguirà nella già annunciata terza (e ultima) stagione della serie prevista per l’anno prossimo e in due parti che a giudicare dagli eventi del finale – che qui non vi sveleremo assolutamente – si preannuncia già pazzesca.

Cambia tutto in Squid Game, a partire dalla percezione che abbiamo dei giochi. Se nel primo ciclo di episodi tutto era adrenalinico e spaventoso – oltre che inedito e strabiliante – fatto di tensione assoluta e straripante, stavolta tutto ci appare familiare. Una sensazione che si sposa pienamente con il ritorno scenico di Gi-hun che a un certo punto della seconda stagione viene vestito del ruolo di perfetto cheat code. Conosce i giochi, conosce le regole. È un sopravvissuto al Squid Game, c’è già passato. L’obiettivo non è più vincere per salvare sé stessi, ma vincere per smontare l’organizzazione e salvare quanta più gente possibile.

Che succede, però, se i giochi e le regole cambiano in corso d’opera? Ed è proprio quello che accade in Squid Game con Hwang che mantiene intatto il cuore umano della serie raccontando ancora di errori e opportunità e sogni e speranze di individui sull’orlo del precipizio vitale in cerca di riscatto, espandendone, però, il conflitto a macchia d’olio. L’individualismo disperato di sopravvivenza primordiale legato alla natura umana della prima stagione evolve, in questa seconda, in una riflessione acuta sul valore della scelta che ci mette poco ad assumere i contorni spirituali di libero arbitrio, e con essa del senso di comunità.

«Finché il mondo non cambierà, il gioco non si fermerà» recita una linea dialogica del secondo ciclo di episodi. E il gioco non si ferma, infatti, cambia pelle, diventa qualcos’altro. Nella sottile traccia ironica dei suoi giochi da bambini riconfigurati come mortali e sadici – alcuni già noti, altri da scoprire – Squid Game evolve rimescolando continuamente le dinamiche e le alleanze, svelando debolezze e punti di forza dei suoi protagonisti. E se per farlo Hwang ha dovuto sacrificare la spettacolarizzazione in favore di una maggiore componente riflessivo-sociale, poco importa. Squid Game è tornato, e siamo già tutti in attesa del gran finale!
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