ROMA – «Mi chiedo sempre se c’è un posto per noi da qualche arte. Per tipi strani. Voglio essere là fuori, essere me stesso, accettato e amato per come sono. Non voglio sentirmi diverso. Dovunque è meglio di qui. Devo solo avere coraggio per andare dall’altra parte». Comincia con queste parole Gasoline Rainbow, l’ultimo lungometraggio dei fratelli Ross. Sull’elogio della fuga, non come velleità, piuttosto come necessità, che corrisponde qui alla più profonda volontà di perdersi, vagabondano per non ritrovarsi più, o almeno per un po’, scoprendosi affini ad anime inquiete, alla ricerca continua di un luogo che sia al tempo stesso casa e altrove. Cinque ragazzi, Makai, Tony, Nichole, Micah e Nathaly, fuggono nel cuore della notte dalla cittadina di provincia dell’Oregon nella quale sono nati e cresciuti e a bordo di un van scalcinato si mettono in viaggio.

L’obiettivo è il raggiungimento della costa, laddove ciascuno di loro parteciperà ad un leggendario rave party chiamato La fine del mondo. Tra quest’ultimo e loro però c’è la strada e così l’amore, lo spaesamento dell’adolescenza, l’incoscienza che pian piano muta facendosi coraggio e la paura rispetto a ciò che sarà alla fine del viaggio e dell’esperienza emotiva. Non è infatti il rave party che i cinque temono, piuttosto la fine dell’innocenza e l’inizio dell’età adulta e delle grandi responsabilità. Nell’estate della grande scelta, quando il liceo è finito e inevitabilmente si tirano le somme rispetto a ciò che verrà, tra chi deciderà di proseguire gli studi, chi invece si troverà un lavoro, o ancora chi fuggirà via, lontano da tutti quei luoghi e legami, un ultimo viaggio non può che rappresentare meglio e più di qualsiasi altro accadimento, un vero e proprio commiato.

Tanto rispetto a ciò che sono (e siamo) stati, quanto alla proiezione d’un desiderio mai raggiunto. Si confessano infatti fra loro, raccontandosi ciò che avrebbero voluto essere fin dall’inizio e che in definitiva non stati, dei buoni figli, dei buoni amici, degli studenti modello e così via, nonostante aleggino incessantemente le ombre di una genitorialità mancata e di una conseguente e fin troppo rapida crescita emotiva. Ecco perché i cinque giovani protagonisti di Gasoline Rainbow non sono soltanto degli adolescenti, ma delle anime inquiete, che non hanno mai realmente smesso di interrogarsi sul proprio ruolo nel mondo, impossibilitati da una quotidianità di turbamento; c’è chi si è visto rifiutare dai genitori, poiché costretti dallo stato alla disintossicazione; a vivere una cresciuta di doverosi sbagli, epifanie, cadute, spaesamenti e scelte. Ecco perché la fuga, ecco perché La fine del mondo.

I fratelli Ross servendosi di una moltitudine di linguaggi e forme cinema, tra riprese amatoriali, cura effettiva dell’immagine e dell’inquadratura, cinema del reale e coming-of-age, danno vita ad un folgorante lungometraggio dall’anima fieramente indie, sia rispetto all’esigenza autoriale e narrativa, che alla produzione. Gasoline Rainbow è dunque a tutti gli effetti una vera e propria esperienza cinematografica, al pari di Boyhood di Richard Linklater e pochi altri casi del cinema recente e non. Per la sua qualità e volontà così sincera e profonda di dialogo con l’interiorità dello spettatore, con il suo desiderio, talvolta inconscio, altrimenti feroce e consapevole di dover fuggire, mettendosi sulla strada, per scoprire – e scoprirsi – altrove, laddove una nuova famiglia può nascere, laddove una nuova felicità può trovare un nome e non soltanto una parziale proiezione.

Se Nomadland è fuga dal dolore ed elaborazione dello stesso, poiché abbracciato pienamente attraverso la solitudine, il paesaggio sconfinato e la moltitudine di incontri fortuiti, destinati a restare nella memoria e nel cuore di chi viaggia, Spring Breakers è ingenua volontà di andare incontro al caos e al divertimento sregolato, scoprendone l’indubbio fascino, sempre o quasi limitato dal pericolo e dalla violenza, perciò dannoso rispetto a ciò che potrebbe essere, concentrato infatti su ciò che è e se seguito a fondo, perfino sul mai più. Segue On The Road, che è fuga, perdizione, desiderio di libertà, oltre la società, oltre i taboo e la scoperta fascinosa ed eccitante del disinibito, del vagabondare e del dar vita all’arte e all’esperienza, in preda all’alcol e alle droghe.

Infine, il caso che più si lega al meraviglioso film dei fratelli Ross, Stand By Me, ancora una volta una fuga, che non è caos, piuttosto ritrovamento di un legame d’amicizia e familiarità, che né la perdita dell’innocenza, né il tempo cancelleranno mai. È presto per dirlo, ma Gasoline Rainbow, forte di un incessante flusso di coscienza, nella sua natura confusa, disordinata, non lineare e per questo profondamente vitale e corrispondente al periodo dell’adolescenza e del complesso raggiungimento della maturità, sembrerebbe avere tutte le carte in regole per essere il vero manifesto cinematografico della Generazione Z, generatrice di una moderna beat generation ormai prossima a svelarsi.

Verso il rave party, lo spaesamento e la fine del mondo. Qualcuno una volta ha scritto: danzare nel buio. I giovani protagonisti di Gasoline Rainbow invece, danzano attorno ad un vecchio pianoforte dato alle fiamme, su di una spiaggia desolata tra consapevolezza della fine e timore del futuro. Ancora una volta sguardi, questa volta però si sorride alla paura, senza più sfuggirle. Presentato in anteprima mondiale all’80a edizione della Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, Gasoline Rainbow è disponibile ora su MUBI.
- HOT CORN TV | Qui per il trailer del film:
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