ROMA – Un anziano professore vive barricato nel suo appartamento, pieno di libri e dipinti. Un giorno la marchesa Bianca Brumonti, facoltosa esponente di una borghesia nuova e arrogante, si stabilisce al piano di sopra insieme all’amante Konrad, la figlia e il fidanzato. L’uomo, infastidito dagli scandalosi intrusi, tenta di evitarli ma qualcosa non va secondo i piani. Parte da qui Gruppo di famiglia in un interno, un film di Luchino Visconti del 1974 – disponibile su Minerva Classic che trovate sia su Prime Video che su The Film Club – con protagonisti Burt Lancaster, Silvana Mangano, Helmut Berger, Romolo Valli, Claudia Marsani, Stefano Patrizi, e arricchito dai camei eccellenti di Claudia Cardinale e Dominique Sanda. Uno dei progetti filmici più caratteristici del regista milanese, a partire dalla scelta di parole del curioso e colorito titolo.

Quel Gruppo di famiglia in un interno che in campo pittorico va a indicare un ritratto di gruppo informale tipico dei dipinti britannici del XVIII Secolo, e in particolare dei primi anni venti del Settecento. Questa tipologia di dipinti, nota anche come Conversation Pieces (ovvero il titolo in v.o.) è abitualmente caratterizzata di ambienti domestici e/o paesaggistici, raffiguranti persone che chiacchierano tra loro, siano esse membri di famiglia così come amici, conoscenti. In questa suggestione titolistica cresce il cuore e l’anima di una narrazione costruita da Visconti in una regia austera e silenziosa come un disilluso e opprimente kammerspiel che a partire dalla riflessione aristotelica della natura umana («L’uomo è un animale sociale») vede intessere uno studio di caratteri di consumata maestria su cui adagiare uomini rotti, caratterialmente agli antipodi e diversamente consumati dai propri percorsi di vita.

E quindi riflettere, tra le maglie narrative di Gruppo di famiglia in un interno, sui valori della vita e dell’uomo tra solitudine e alienazione, socialità condivisa, affinità elettive e disgregazione, intellettualismo di sinistra e critica alla decadenza della società borghese capitalistica, ma anche dell’incapacità ad adeguarsi alla modernità e ai cambiamenti socio-culturali di un Professore nobile decaduto, spettatore passivo e alter-ego viscontiano alla ricerca di un tempo perduto, destinato all’estinzione per lasciare il posto alla libertà di pensiero e d’azione dei giovani post-sessantottini. Ma soprattutto della caducità della vita, da cui emerge la marcata componente autobiografica della pellicola. La produzione fu, infatti, segnata dalle precarie condizioni di salute di Visconti colpito da un ictus improvviso. Al punto che la lavorazione poté iniziare solo quando Lancaster promise che avrebbe sostituito Visconti alla regia, se necessario.

Un agente scenico, il suo Professore, nemmeno troppo lontano dalla realtà. La dimensione caratteriale fu, infatti, ricalcata su quella del celebre critico d’arte e saggista Mario Praz che ne parlò così tra le pagine de La casa della vita, saggio biografico edito da Adelphi nel 1977 di cui riportiamo un estratto: «Da un’ispirazione profetica doveva essere animato Visconti quando metteva a protagonista un vecchio professore assistito da un’anziana domestica, ma anche immaginava che nello stesso casamento venisse ad abitare una banda di giovani drogati e dissoluti. Che è pressappoco quello che è accaduto, ma soltanto dopo la presentazione del film, nel palazzo dove abito!». Un’autentica gemma del cinema italiano d’immutata forza filmica, Gruppo di famiglia in un interno, da (ri)scoprire e preservare, cinquant’anni dopo…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film
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