MILANO – «Space Force all the way!». È con questo tweet dell’estate 2018 che l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump comunicò la creazione della USSF – United States Space Force. Una sezione del Commando Strategico statunitense responsabile delle operazioni spaziali. Un nome di suo comicamente assurdo che da subito solleticò l’interesse di Greg Daniels. Al co-creatore di The Office bastò infatti una semplice telefonata per coinvolgere proprio l’ex Michael Scott/Steve Carell proponendogli pressappoco: «Ti andrebbe di fare una serie TV dal titolo Space Force?».

Occhio però perché ormai da tempo Carell non è più un uomo da commedia: da Foxcatcher – Una storia americana in poi per l’esattezza. E se da una parte il ritrovato binomio artistico ha fatto pensare a Space Force come ad un «That’s what she said… in space», dall’altra è bene sottolineare come l’arena scenica non è più la Dunder Mifflin di Scranton, bensì una base militare in Colorado. Complice infatti la matrice politica alla base della ratio (tele)filmica, la prima stagione di Space Force si è mossa più nel terreno della feroce satira che non della classica commedia. Una satira però disequilibrata e apparentemente poco nelle corde di un Daniels che nel ridicolizzare la già ridicola Amministrazione Trump finisce con lo sparare a salve: solo risate a denti stretti e in generale molte ombre e poche luci.

Giunto così alla sua seconda stagione (7 episodi, dal 18 febbraio) non ha stupito più di tanto la strategia distributiva adottata da Netflix: pochissima pubblicità e zero rilanci sui canali social. Un vero peccato. Specie perché Space Force sembra finalmente aver trovato la giusta formula narrativa con cui rispondere alle esigenze del pubblico a cui era destinata seppur con due anni di ritardo. Un delicato processo di riscrittura attraverso cui Daniels e Carell contaminano la marcata componente politica del racconto dissacrante di Space Force di quella tipica e irresistibile inerzia comica che ha reso grande The Office US: umorismo brillante costellato di battute incisive e con un Mark Naird “riveduto e corretto” dalla caratterizzazione similare – per non dire simbiotica – a quella di Michael Scott.

Contro ogni pronostico Space Force 2 sembra essere rinato proprio grazie al suo illustre cugino (tele)filmico aggiungendo al proprio cammino produttivo una certa dose di ironia. Anche The Office US ebbe infatti un inizio incerto. La prima stagione – specie la puntata pilota – fu concepita come shot-by-shot della sua controparte inglese (The Office UK di e con Ricky Gervais). Soltanto a partire dalla seconda stagione riuscì ad avere uno sviluppo autentico ed armonioso. Stesso risultato insomma, ma differente esito. Nonostante una ricalibratura narrativa da manuale infatti il destino di Space Force sembra essere segnato e irrimediabile, navigando a vista verso una probabile cancellazione.

Sensazioni supportate da un series finale il cui climax va a conferire a Space Force 2 un’insolita aura fiabesca da lungo preludio di Don’t Look Up di Adam McKay. Proprio quel McKay che – ironicamente – per primo ha saputo scommettere sul talento interpretativo di Carell traghettandolo gradualmente dal comico Anchorman (e Anchorman 2) al drammatico La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra. L’unica speranza? Gli ascolti/le visualizzazioni. Se il pubblico saprà dare ancora una volta fiducia a Space Force chissà che dalle parti di Los Gatos qualcuno non cambi idea. Noi lo speriamo vivamente.
Space Force: la recensione della I stagione
Qui il trailer di Space Force 2:
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