MILANO – Quanto è difficile dire addio a un amico? Anche se è un cavallo e ha i contorni disegnati. Nel vedere gli ultimi episodi di BoJack Horseman chi scrive si è sentita come quando, al liceo, le mancavano poche pagine per finire Il giovane Holden e di lasciare andare quel ragazzino che girava per New York proprio non ne voleva sapere. Perché l’ex star di Horsin’ Around creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata da Lisa Hanawalt per Netflix ha saputo creare un legame profondo con noi spettatori e sapere di essere arrivati alla parola fine ci lascia con lo stesso stato d’animo di quando, qualche mese fa, abbiamo salutato la Fleabag di Phoebe Waller-Bridge.

Due personaggi difettosi che abbiamo seguito mentre, errore dopo errore, nascondevano in relazioni sbagliate o nel fondo di una bottiglia i problemi che non volevano affrontare. Ma questa sesta stagione ci ha mostrato i tentativi di cambiare– spesso fallimentari – di BoJack, tra rehab e fantasmi del passato con cui chiudere i conti. «Siamo tutti danneggiati, ma è un buon danno perché ci rende di più chi siamo» riflette Diane attraverso cui Bob-Waksberg mostra il volto della depressione con una sincerità amplificata dalla libertà che solo l’animazione permette.

E proprio questo essere così simili a noi, tra traumi, difetti e paure, ci ha fatto affezionare ad un cavallo egocentrico o a una giornalista che fatica a trovare le parole per esprimere quello che prova. Personaggi seguiti nella loro ricerca di una felicità che scopriamo costare fatica e dolore e che non sempre assume la forma che ci si aspettava. Non è un segreto che nelle intenzioni del suo creatore quest’ultima stagione si sarebbe dovuta sviluppare in due capitoli differenti. Il risultato è quello di un’accelerazione degli avvenimenti suddivisi tra la prima e la seconda parte in cui BoJack e gli altri personaggi sono stati mostrati nelle loro nuove vite, dedicando ad ognuno di loro episodi più incentrati sul singolo che sulla collettività degli avvenimenti.

Su tutti, ovviamente, svetta il cavallo più chiacchierato di Hollywoo(d) che, tra tentativi di sobrietà e redenzione, ci prova con tutte le sue forze a diventare un’altra persona. «Recitare significa lasciarsi tutto alla spalle per diventare qualcosa di completamente nuovo» dice BoJack ai suoi studenti, ma la lezione che impara è un’altra. Per fare pace con il passato e con se stessi bisogna accettarsi per ciò che si è e imparare a convivere con i propri demoni. E come nelle stagioni precedenti di BoJack Horseman, anche qui le situazioni affrontate dai protagonisti diventano l’opportunità per parlare di altro.

Dalla critica all’industria hollywoodiana e ai suoi meccanismi passando per dipendenze e malattie mentali, dalla voracità della stampa alle conseguenze sociali e mediatiche del #MeToo, la serie è riuscita a inglobare e captare tutte le realtà che gli gravitavano attorno. E spesso lo ha fatto con un sarcasmo pungente o senza aver paura di abbracciare il dolore. Abbiamo visto Raphael Bob-Waksberg concentrare quest’ultima stagione sul perdono – verso se stessi e gli altri – e sul peso dell’eredità.

Quello di BoJack Horseman è, senza dubbio, un lascito importante – per Netflix, per l’animazione, per la serialità – e non poteva concludersi diversamente. Un finale sospeso e senza certezze, come la vita. E chissà se i nostri destini s’incroceranno ancora una volta con il suo, magari sul tetto di una casa a chiacchierare come vecchi amici che non si vedono da tempo, tra silenzi colmi e imbarazzati e le stelle sopra le nostre teste a farci compagnia. Nel frattempo ci affideremo al consiglio di Holden: «Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti». Anche di un cavallo parlante. Ciao BoJack, è stato bello finché è durato.
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Qui potete vedere il trailer della seconda parte di BoJack Horseman 6:
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