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Dai Simpson a BoJack Horseman: come si è evoluta l’animazione televisiva?

Audacia e introspezione: gli ingredienti alla base dei migliori titoli di un genere in continua espansione

MILANO – In principio furono I Simpson, la creatura animata di Matt Groening nata nel 1987 e ambientata a Springfield con protagonisti Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie. Una famiglia media attraverso cui raccontare e parodiare l’american way of life. Un pietra miliare del piccolo schermo che ha innegabilmente sancito un prima e un dopo. Ma quanto e come è cambiata l’animazione per adulti negli ultimi trent’anni? A guardarsi indietro per ripercorrerne l’evoluzione ci s’imbatte in titoli che, per temi e stili, hanno saputo ritagliarsi un posto nell’immaginario pop a cavallo tra vecchio e nuovo millennio.

Griffin Vs Simpson…

Dalla satira sboccata e corrosiva di South Park al grottesco duo di adolescenti Beavis and Butt-head, dalla misantropia irresistibile e pungente di Daria a produzioni pensate per un pubblico più ampio che hanno visto “competere” Matt Groening da un lato e Seth MacFarlane dall’altro con Futurama, I Griffin, American Dad e The Cleveland Show. E tutte queste creazioni – opposte e complementari – hanno traghettato l’animazione verso una narrazione sempre più citazionista e schierata. Merito, indubbiamente, della libertà espressiva che concede il genere stesso sotto il duplice profilo formale e di contenuto.

Un’immagine di The Cleveland Show..

Complice poi la moltiplicazione di emittenti e piattaforme on demand, gli ultimi dieci anni hanno permesso al genere di crescere ulteriormente realizzando serie tv tv da stili e toni molteplici. Dalla spia edonista protagonista di Archer alla famiglia conservatrice tratteggiata da Mike Judge – già mente dietro Beavis and Butt-head – in King of the Hill, passando per i ranger goffi di Brickleberry fino ai Murphy di F is for Family, i Belcher di Bob’s Burger e la tecente Tuca & Bertie. Ma i due titoli che più di tutti hanno riscosso consensi da parte di pubblico e critica e dato vita a fazioni opposte sono Rick and Morty e BoJack Horseman.

Daria Morgendorffer.

La prima, creata da Justin Roiland (Community) e Dan Harmon per Adult Swim, si concentra sulle avventure di Rick, scienziato pazzo, narcisista e alcolizzato, e del nipote, adolescente timido e angosciato, Morty. Un tripudio di citazioni pop che da Ritorno al Futuro abbraccia una quantità monumentali di riferimenti al cinema, alla tv e ai personaggi – fittizi o reali – che li popolano (da Walter White a Mad Max). La seconda, invece, è forse una delle più grandi sorprese che ci ha regalato la serialità (tutta) e nata grazie ad una mail, datata 2010, che il suo creatore, Raphael Bob-Waksberg, inviò all’illustratrice Lisa Hanawalt.

La famiglia Belcher protagonista di Bob’s Burger.

“BoJack the depressed talking horse” recitava l’oggetto di quella missiva virtuale che si è poi trasformata nell’universo animato di BoJack Horseman dove personaggi umani e animali antropomorfi convivono. Ma chi è BoJack? Un’ex stella di Hollywoo(d), protagonista negli Anni Novanta di “uno show molto famoso”, Horsin’Around, che non è stato però in grado di replicare quel successo. Cinico, promiscuo e con una spiccata propensione alle dipendenze, BoJack è un personaggio complesso al pari del Don Draper di Mad Man o dell’Hank Moody di Californication, nonostante i suoi tratti animati.

Lo scenziato Rick e suo nipote Morty.

Perché la formula del successo dietro lo show Bob-Waksberg risiede nella capacità di parlare di tematiche che vanno dall’aborto alle malattie mentali, dagli abusi al suicidio, dalla depressione alla politica, con una chiave narrativa che mischia i registri e permette una commistione di livelli che dal drammatico vira al surreale, dal grottesco al comico, dal malinconico al buffo mettendo in scena la vita stessa in cui potersi riconoscere attraverso i suoi personaggi. E basterebbero due episodi, Fish Out Of Water e Free Churro, rispettivamente della terza e quinta stagione, per evidenziare tutta la grandezza della serie e l’evoluzione dell’animazione stessa.

Un’immagine dell’episodio Fish out of Water di BoJack Horseman.

Un episodio “muto”, ambientato durante il più grande festival cinematografico sottomarino del mondo, e una puntata che, in realtà, è un monologo. Un lungo e doloroso discorso funebre che, come per la rivoluzione dalla messa in onda de I Simposon trent’anni fa, è già a tutti gli effetti uno spartiacque per il genere. Due scelte narrative agli antipodi che nella loro diversità rappresentano non solo la potenza e il coraggio di BoJack Horseman ma anche l’assoluta libertà di azzardare e sperimentare che oggi offre l’animazione, a costi dimezzati rispetto ad una produzione “tradizionale”. Show con una profondità psicologica tale – apparentemente celata dietro un’impronta comica e irriverente con la quale prendersi beffa del nostro presente – da lasciarci ammutoliti davanti lo schermo. “I see you”.

Una scena di Free Churro, episodio della quinta stagione di BoJack Horseman.

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