ROMA – Sarah Polley è un talento puro. Un talento che meriterebbe un riconoscimento di molto superiore a quello ottenuto finora. Quattro film da regista in poco meno di vent’anni – Away from Her, Take This Waltz, Stories We Tell e, ultimo in ordine cronologico, Women Talking – Il diritto di scegliere – che la posizionano tra i nomi più importanti e significativi del nuovo cinema americano per la sua capacità di indagare le emozioni con un’intimità profondissima. Lo ha fatto raccontando l’amore di una coppia osteggiato dall’Alzheimer, la crisi di una giovane donna divisa tra un matrimonio apparentemente felice e un sentimento inaspettato, analizzando il ruolo di segreti e ricordi all’interno della sua stessa famiglia.
Ora, con Women Talking – Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale e candidato come Miglior Film – Sarah Polley fa un’ulteriore passo in avanti e porta in scena un racconto quanto mai moderno, eppure capace di trascendere passato, presente e futuro tanto sono amaramente universali i temi trattati. Lo fa partendo dal romanzo del 2018 di Miriam Toews, Donne che parlano, ispirato a sua volta a fatti realmente accaduti nel 2011 in una colonia Manitoba in Bolivia. Il film si apre con un’inquadratura dall’alto di una giovane donna, Ona (Rooney Mara), membro di una comunità mennonita, distesa su un letto. L’interno delle sue gambe è sporco di sangue. È stata violentata.
Quello che è successo quella notte è già accaduto prima, a lei e alle altre donne della colonia. Quando scoprono che quegli atti di violenza non sono il frutto della «sfrenata immaginazione femminile» ma degli uomini della comunità che per anni le hanno controllate, drogate e abusate, Ona e le altre li fanno arrestare. Ma hanno ventiquattro ore di tempo prima che i loro aggressori facciano ritorno. In quel lasso di tempo si riuniscono in un fienile per decidere il loro futuro: non fare nulla, restare e combattere o andarsene. Profondamente credenti, private della più semplice educazione scolastica, spaventate, le donne protagoniste di Women Talking fanno qualcosa che era sempre stato negato loro: iniziano a pensare.
Ambientato quasi totalmente all’interno del fienile, Women Talking ha il sapore dell’opera teatrale mentre mette in scena un tema che ci riguarda tutti. Poco più di un’ora e mezza in cui Sarah Polley si addentra in una riflessione su fede, confronto, perdono, consapevolezza, potere, unione e autodeterminazione. Quella che è sempre stata negata alle donne protagoniste interpretate da un gruppo di attrici straordinarie tra cui figurano, oltre alla già citata Rooney, Claire Foy, Jessie Buckley, Judith Ivey, Sheila McCarthy e Frances McDormand (anche produttrice insieme alla Plan B di Brad Pitt), a cui si aggiunge l’unica figura maschile (positiva) di questa storia, Ben Whishaw nei panni dell’insegnante August Epp, simbolo dell’importanza dell’istruzione per la crescita individuale e di un maschile privo di accezioni negative perché «non tutti gli uomini» sono come quelli da cui le protagoniste di questa storia vogliono proteggersi.
Un film che parla di violenza ma non la mostra mai, la lascia ai margini evocando le conseguenze fisiche e mentali di chi le ha subite. La storia di Women Talking si muove in un microcosmo fatto di qualche ettaro di terra e una strada sterrata che porta alla libertà ma la sua potenza rimbomba e si amplifica in una macrocosmo che ingloba le storie tristemente simili di un numero indefinibile di donne dal destino comune (il film è ambientato nel 2010 ma le protagoniste vivono separate dal mondo in un tempo sospeso). La fotografia di Luc Montpellier depotenzia i colori restituendo immagini che ricordano vecchie fotografie in movimento di un mondo passato mentre la partitura musicale di Hildur Gudnadóttir sottolinea il senso di tensione che attraversa il film ma anche la speranza insita nel cuore di questo racconto. Un gruppo di donne che decide di andare avanti per permettere che la storia di chi verrà dopo sia diversa dalla loro.
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