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Il Supervissuto | Vasco Rossi, le facce dell’Italia e una vita come quelle dei film…

Dagli anni Settanta a oggi, dalla droga alla leggenda: su Netflix la storia di un mito tutto italiano

Il supervissuto
Vasco Rossi in studio in un'immagine de Il Supervissuto

MILANO – No, non sono in tanti oggi a riconoscere – e ad accettare – l’importanza che Vasco Rossi ha avuto nella storia italiana. E non stiamo parlando solo dell’impatto musicale, ma anche e soprattutto di quello sul costume e sulla società. Vasco – Il Supervissuto è la docu-serie in cinque puntate su Netflix che cerca di rendere omaggio al percorso della principale (ed unica?) rockstar italiana, cercando anche di raccontare il Paese in cui si è mosso. Lui, il primo in grado di coniugare i lontani mondi della musica nostrana e del rock internazionale, facendosi bandiera, idolo e capro espiatorio di due generazioni (forse anche tre, a questo punto), di cui ha saputo interpretare aspirazioni, delusioni, vizi e amori. Un documentario costruito benissimo – che si apre significativamente con Vasco che strimpella Anima fragile, brano del 1980 – ideato e girato durante i lunghi mesi del lockdown, in cui gli impegni di Vasco erano più radi (per ovvi motivi).

Il Supervissuto
Da Gianni Morandi a Fronte del Palco: due momenti del documentario.

Così il cantante ha avuto modo chiacchierare, confrontarsi e ripercorrere la sua lunga esperienza con il regista Pepsy Romanoff – già con lui sui molti concerti filmati in questi anni – e gli autori Igor Artibani e Guglielmo Ariè. Un bel viaggio che piacerà a chi ama e ha amato il Blasco, ma che è una buona lente per avvicinarsi al personaggio, sia questa la prima o la milionesima volta. Il titolo è già di per sé esplicativo del punto di vista da cui si osserva Vasco: super-vissuto indica la sua interpretazione della vita come esperienza da gustare fino in fondo (pensiamo a Vado al massimo o Vita Spericolata) e in ogni istante, ma c’è anche il termine “sopravvissuto”, perché Vasco è anche riuscito a sopravvivere a se stesso, alla scelta pericolosa (e consapevole) di trasformare la sua vita in opera d’arte, di incarnare una parte (non solo interpretarla) e diventare una storia. Con la musica? Sì, ma anche con il suo corpo, il suo tempo, la sua esistenza.

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Vasco oggi – a 71 anni – in un momento del documentario.

Tutto comincia negli Anni ’50, con un’infanzia felice, una mamma giocherellona e un bambino carino-con-gli-occhi-azzurrissimi che ama cantare (vincerà l’Usignolo d’oro nel suo paese, a otto anni). La giovinezza spensierata, gli Anni ’60, i primi gruppetti musicali e poi, finalmente, gli Anni ’70, l’avere vent’anni e l’immediata intuizione di capire che Zocca sta stretta, che si vuole di più, che si ha forse da dare qualcosa di più. E per fortuna le voci corrono, la musica circola e le radio pirata ridicolizzano il monopolio RAI sulle frequenze FM: tra queste Punto Radio, con cui l’energia di Vasco inizia ad incalanarsi nel mondo della musica, tra una puntata e l’altra, un disco, una serata allo Snoopy come DJ e le prime incisioni (Jenny è pazza, Silvia, La nostra relazione). Tra il 1975 e il 1978 conoscerà Gaetano Curreri e praticamente tutte le persone con cui in seguito lavorerà.

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Vasco in un’intervista di repertorio del documentario.

Sono i primi Anni ’80 però ad essere decisivi. Dopo Albachiara e il primo concerto in piazza Maggiore a Bologna arrivano gli anni del sesso, droga e rock ‘n’ roll. Il padre muore improvvisamente, la carriera procede: sopra e sotto il palco ci si diverte come pazzi (molte le immagini inedite di quelli anni, dal tour Colpa d’Alfredo), la vita da rockstar è una bomba e l’idea di poter morire da un giorno all’altro non sembra importare né a Vasco, né alla sua band, né a nessuno dei ragazzi che iniziano a riempire i palazzetti. Le canzoni si fanno sempre più generazionali (Siamo solo noi) e le provocazioni (Bollicine) all’ordine del giorno. In quel periodo, però, Vasco non è solo un musicista, ma per i giornali italiani e i lettori benpensanti un pericoloso capopopolo da abbattere, un cattivo esempio che sta corrompendo i giovani, uno sbandato agente del disordine, un drogato.

Come quelle dei film. Vasco negli anni Novanta ne Il Supervissuto.

Siamo nell’Italia che rimpiange la compostezza di Aldo Moro e plaude al moralismo di Enrico Berlinguer, così – per forza di cose – prima o poi arriva la buoncostume e la casa di Vasco viene perquisita. Ovviamente vengono trovati trenta grammi di sostanze illecite. Sarà galera, con una grave accusa per spaccio. Siamo alla fine dell’aprile del 1984, ovvero un anno dopo l’arresto di Enzo Tortora. In quel momento Vasco rischia di perdere tutto. Amici. Carriera. Salute mentale. Si rialzerà (alla fine passerà solo ventidue giorni in prigione) e sopravviverà, eccome se sopravviverà. Dopo mesi difficili, toccato il fondo, decide di disintossicarsi e ricomincia, ma questa volta da professionista: va a correre la mattina, ingaggia musicisti veri e mette su famiglia. Le musiche dei dischi si fanno più complesse e contemporanee (Cosa succede in città), mentre il tono diventa via via più malinconico (Liberi, liberi, riascoltatela oggi per quanta verità contiene). E la rabbia? Matura, più ragionata e controllata, quasi repressa.

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Vasco oggi in un’altra scena.

Il resto è storia, dalla fine degli Anni ’90 in poi, gli anni degli stadi pieni, da San Siro con Fronte del Palco, nel 1990, alle centocinquantamila persone all’autodromo di Imola, record su record, numeri su numeri, anche troppi forse. Ed ecco però gli anni dell’assenza del conflitto e dell’arrivo del momento – surreale – in cui madri e figli ascoltano (addirittura) le canzoni di Vasco insieme, abbracciate, mentre lui da figura generazionale diventa intergenerazionale. Paradossale che un personaggio che negli Anni ’80 fu tanto divisivo e discusso, oggi sia invece una delle poche cose a unire gli italiani, divisi su qualsiasi cosa tranne che sulla Nazionale di calcio, su Vasco e sulla pastasciutta. Doveva finire a San Patrignano, invece è finito a San Siro. Tutto il resto è nostalgia, malattia e sopravvivenza di un uomo a cui si vuole bene, uno di quelli che ha segnato un epoca e che ci ha sempre spinto ad alzare il volume. Nonostante tutto.

  • ROCK CORN | Quando il cinema incontra la musica: la nostra rubrica
  • VIDEO | Qui il trailer de Il Supervissuto:

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