ROMA – Abbiamo visto decine e decine di film sul Vietnam, ma un giorno qualcuno inizierà a raccogliere l’elenco dei film girati sul post Iraq, una guerra che non doveva esserci e che dal 2003 ha ucciso un milione di iracheni e oltre5 mila soldati americani, con oltre 30mila feriti e mutilati. Qualche titolo? The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, ovviamente, Nella Valle di Elah di Paul Haggis, ma ci sono molti inediti da recuperare, come Stop-Loss di Kimberly Peirce o come Il destino di un soldato, tratto dall’autobiografia firmata da un reduce, Kevin Powers, The Yellow Birds, e diretto da Alexandre Moors con un grande cast: Alden Ehrenreich, Tye Sheridan, Jack Huston, Jennifer Aniston e Toni Collette. Powers, veterano, la guerra In Iraq l’ha vissuta sulla sua pelle, e qui ce la racconta, affidando la storia a un giovane soldato di nome John Bartle (Ehrenreich), a partire dal suo addestramento e il forte legame di amicizia che si viene a creare con Murphy (Sheridan).

Poi l’Iraq, i combattimenti, il sergente Sterling (Jack Huston, molto bravo) la paura di non farcela e l’orrore che arriva sul campo di battaglia. Il destino di un soldato – inedito in Italia ma che trovate in streaming su Prime Video e AppleTv+ – è la cronaca di un dolore, di un rimpianto e di una ferita inguaribile per un ragazzo che aveva deciso di arruolarsi semplicemente per pagarsi il college. Sei primavere della sua gioventù per avere in cambio cinquantamila dollari e chiudere i conti. Ma Powrs non avrebbe certo immaginato che il prezzo da pagare sarebbe stato così alto e che avrebbe dovuto attraversare un inferno che si è poi esteso anche oltre il campo di battaglia, finendo nella sua mente anche una volta tornato a casa.

Il destino di un soldato è la storia di una vita che somiglia un po’ a un conflitto, una storia ancora più tragica se ci si ricorda che è vera. Powers – che ha pubblicato anche in Italia il suo libro (lo trovate con Einaudi, Yellow Birds) in questo ha centrato sicuramente il bersaglio. È riuscito a descrivere – veramente – la guerra, quella guerra che assume quasi una forma fisica propria, che devasta le menti dei soldati, distrugge le anime, getta un fascio di ombre sulle speranze e rovina per sempre il futuro. La follia di una violenza estrema, ingiustificata e ingiustificabile, che non lascia scampo, che scandisce le stagioni e permea ogni cosa.

«La guerra provò a ucciderci in primavera», racconta. E alla fine, quando torna a casa, le medaglie e la gente lo presentano come eroe, ma lui non potrebbe sentirsi più distante. Le ferite e i traumi della battaglia si accompagnano al dramma personale, non essere riuscito a mantenere una promessa fatta al suo amico, prima della sua morte. Quando rimane solo con i suoi pensieri le bombe, i corpi, le esalazioni del conflitto armato non lo abbandonano mai.

E il film è tanto più efficace quanto più è vicino a noi. Non si parla, infatti, delle guerre passate del secolo scorso, vicine materialmente ma lontane nelle nostre menti, ma di qualcosa accaduto vent’anni fa: la seconda guerra del Golfo. Tuttavia la politica rimane sullo sfondo, non ci sono riferimenti a Saddam, a George W. Bush o al dibattito sullo scontro geopolitico che negli stessi anni animava gli States. Ciò che conta sono gli effetti di quel conflitto bellico sulle vite dei soldati.

Solo rimorsi, niente speranza. I due giovani protagonisti e i loro compagni poco a poco si rendono conto che una volta tornati a casa – per quei pochi che riusciranno a tornarci – sarà quasi impossibile dimenticare. E insieme alla speranza se ne va anche l’immagine di un futuro che forse avevano ideato ma che difficilmente vedrà la luce. Bartle a un certo punto dice «dentro al fiume c’era un sogno», ma quel sogno non si lascia afferrare. Una testimonianza importante e imprescindibile che fa presa sul cuore e sulla mente di chi guarda, come una mano che avvolge un fucile invisibile e spettrale. Attenzione alla canzone, Yellow Birds, scritta appositamente per il film da John Mellencamp.
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