ROMA – «Figli miei», intima Gorcha prima di accomiatarsi, «Attendete il mio ritorno per sei giorni. Trascorsi questi sei giorni, se non dovessi ritornare, recitate una preghiera in mia memoria, poiché vorrà dire che sono perito in battaglia… Ma se dovessi ricomparire – che Dio vi protegga! – passati i sei giorni, vi ingiungo di sbarrare la porta e negarmi l’ingresso, qualunque cosa io dica o faccia. Poiché per allora, altri non sarò che un Vourdalak, un dannato». Parte da qui The Vourdalak, l’esordio da incubo di Adrien Beau in concorso alla SIC – Settimana Internazionale della Critica 38, da un passaggio del racconto da cui è tratto. Quel La famiglia del Vurdalak. Frammento inedito delle memorie di uno sconosciuto del 1839 firmato Aleksej Tolstoj, cugino del più famoso Lev di Guerra e Pace e Anna Karenina.
Un’opera letteraria di indubbio valore storico La famiglia del Vurdalak. Tolstoj fu colui infatti che abbozzò la figura del Vampiro reso poi canonico da Bram Stoker nel suo Dracula del 1897 che lo immaginò come un aristocratico rinchiuso nel suo castello in Transilvania. A Beau però colpì particolarmente l’approccio di Tolstoj alla materia: «Come dimostra questo romanzo, il vampiro originale era un contadino di classe inferiore. In letteratura vampiri e zombi sono la stessa cosa. È il cinema che ha dato loro un rango sociale diverso: gli zombi sono popolani, i vampiri aristocratici. In The Vourdalak capovolgiamo la situazione. Seguiamo un aristocratico che si ritrova tra contadini che guarda caso sono vampiri». Lo script co-firmato assieme ad Hadrein Bouvier ha reso The Vourdalak un’opera ricca di inventiva e spunti interessanti e non solo perché girato in un abbacinante 16mm.
«Una volta che abbiamo di percorrere quella strada, abbiamo dovuto girare in Super 16 per creare qualcosa di unico ma armonioso in termini di narrazione» ha dichiarato Beau al riguardo. Per un The Vourdalak in bilico tra realtà e sogno. Viaggio tetro e sensuale senza tempo e fuori dal tempo affogato in spettrali e suggestivi chiaroscuri. Una pellicola antica e contemporanea che, accanto a una dimensione politica tagliente (l’intera narrazione è un’allegoria della fine del patriarcato), unisce una ritrovata artigianalità fatta di arti plastiche e suggestioni degne del miglior Roger Corman. Un film tutto da scoprire The Vourdalak, tra le più belle sorprese di quest’edizione della Settimana Internazionale della Critica.
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