ROMA – «Come due pescatori che cercano di cogliere dei piccoli pezzi da un fiume che scorre costantemente…», fu con queste parole che Emmanuel Lubezki, tre Oscar vinti per la miglior fotografia, identificò in un’intervista il processo creativo fatto con Terrence Malick. Un sodalizio eccellente, iniziato nel 2005 con The New World, in una comunione d’intenti cementificata nella codifica di un dogma fotografico che vedeva tra i principi basilari l’uso di luce naturale e la ricerca di una composizione d’immagine dalla messa a fuoco ascrivibile alla frase: «Componi in profondità». Ricerca ontologica di naturalezza e delicata spontaneità quindi, che trova in The Tree of Life, presentato a Cannes 64 il 16 maggio del 2011 e vincitore della Palma d’Oro, la sua più brillante espressione artistica.
Candidato a tre Oscar 2012, The Tree of Life racconta la vicenda di Jack O’Brien (Hunter McCracken) sullo sfondo del Secondo Dopoguerra americano. Gli O’Brien sono la tipica famiglia appartenente al ceto medio: il padre (Brad Pitt), organista nella chiesa e inventore sfortunato. La madre (Jessica Chastain), donna amabile e premurosa. I figli, di cui Jack è il primogenito di tre: R.L. (Laramie Eppler) e Steve (Tye Sheridan). Dietro all’apparente armonia la famiglia O’Brien vive in un clima teso: il padre impone un modello educativo duro che prevede punizioni corporali, cosa vissuta con sconforto dalla madre che insegna invece ai figli il valore della dolcezza e del saper coltivare i sentimenti. Tutto questo genera smarrimento in Jack che arriva a rinnegare Dio desiderando la morte del padre. Da adulto (Sean Penn), divenuto architetto di successo, Jack si sentirà smarrito e tormentato.
A detta di Lubezki è la ratio della fotografia a cambiare. Malick ne inverte l’inerzia non rendendola unicamente funzionale ad illustrare un dialogo o a esaltare la performance dell’attore in scena. La fotografia con Malick diventa esperienziale. Volta cioè a catturare le emozioni così da innescare «Tonnellate di ricordi come fossero odori e profumi» per usare le parole di Lubezki. Questo ci riporta un po’ all’essenza stessa di The Tree of Life (lo trovate su RaiPlay). Lo scorrere degli eventi, i cambiamenti della vita, il flusso del tempo. Elementi con cui Malick non va ad imporsi sulla natura attraverso una costruzione registica artificiale e filtrata, finendo invece con l’inglobarla. Andando cioè a cogliere – quasi a giustificare il pescatori di cui sopra – momenti fugaci ed effimeri che rappresentano l’essenza stessa del vivere.
Di The Tree of Life si è iniziato a parlare nel 1978, subito dopo de I giorni del cielo. Il progetto era intitolato Q e avrebbe esplorato le origini della vita sulla Terra. Il tutto poi accantonato in favore de La sottile linea rossa. Q però persisteva nel cassetto della memoria di Malick e quasi un decennio dopo, costruendovi intorno un dramma familiare di chiaro stampo biografico, il regista vi dà forma tra l’onirico e l’immaginifico. Scorre così tra il biblico Giobbe e il Tommaso D’Aquino tra «La via della Natura e una via della Grazia» un processo di destrutturazione narrativa con cui Malick si interroga sul senso dell’esistenza ora in un confronto intimista tra le violente frustrazioni del padre-padrone di un Pitt esplosivo e la delicatezza dei modi di un’eterea Chastain, ora dialogando sui massimi sistemi tra il Silenzio di Dio e l’origine (e relativa evoluzione) della specie. Nel mezzo, la voce-pensiero di un Jack prima bambino cresciuto in fretta poi adulto traumatizzato.
Tanto aveva a cuore Malick la cura dell’immagine di The Tree of Life da aver scritto una lettera aperta a ogni proiezionista che ne avrebbe riprodotta una copia consigliandone i dettami per una visione perfetta. Tra questi il formato immagine 1:85:1, niente titoli di testa e che il segnale luci spente in sala partisse molto prima del fotogramma d’apertura del primo rullo. Ironicamente però, in un sala italiana, per circa una settimana l’opera malickiana fu proiettata con le due bobine invertite. Nonostante quindi l’erroneo montaggio dalla a-linearità ancora più marcata, nessuno ci fece caso: era Malick in fondo, sperimentatore eccellente e narratore fuori dagli schemi. Dieci anni dopo, una versione estesa con quasi un’ora di girato in più (3 ore e 8 minuti) presentata a Venezia nel 2018 e un Voyage of Time inteso come secondo tempo e tie-in, rivisto oggi The Tree of Life mantiene intatta la forza vitale di una ricerca ontologica in perenne bilico tra magia e mistero…
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