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The Old Oak | Ken Loach, la necessità dell’integrazione e le ragioni dell’odio

Dave Turner, Ebla Mari e una grande parabola di umanità. Come ripensare l’ultimo film del regista

Ebla Mari e Dave Turner al centro della scena di The Old Oak, il nuovo (e ultimo) film di Ken Loach, al cinema con Lucky Red
Ebla Mari e Dave Turner al centro della scena di The Old Oak, il nuovo (e ultimo) film di Ken Loach, al cinema con Lucky Red

ROMA – In un villaggio della contea di Darham, una cittadina mineraria a Nord Est dell’Inghilterra, la gente sta abbandonando la terra, le miniere sono ormai chiuse e le case sono economiche e disponibili perché nessuno le vuole più. L’ultimo pub rimasto, il The Old Oak di proprietà di TJ Bannatyne, è la meta quotidiana di clienti abituali che tornano sempre lì in un giro a vuoto che non conosce fine. L’arrivo di alcuni rifugiati siriani creerà però tensione nel villaggio e scompiglierà le carte. TJ farà amicizia con Yara, una giovane migrante appassionata di fotografia e insieme cercheranno di rilanciare la comunità locale sviluppando una mensa per i più poveri, nessuno escluso. Da qui parte la vicenda di The Old Oak, il film di Ken Loach presentato in concorso a Cannes 76 e poi al cinema.

Un estratto della locandina ufficiale del film
Un estratto della locandina del film

Prodotto da StudioCanal, Sixteen Films, Why Not Productions, la Les Films du Fleuve dei fratelli cineasti Jean-Pierre e Luc Dardenne e BBC Film, e con protagonisti pochi volti noti come Dave Turner, Ebla Mari e Debbie Honeywood, la pellicola ha anche rappresentato la diciottesima e – verosimilmente – ultima volta alla Croisette. Kermesse da sempre felice terreno di conquista per Loach che lungo la sua pluricinquantennale carriera – dal 1967 di Poor Cow al 2023 proprio di The Old Oak passando per Kes, Family Life, The Gamekeeper, Ladybird Ladybird, My Name is Joe, Terra e libertà, Bread and Roses e Il mio amico Eric – lo ha visto tre volte vincitore del Premio della Giuria (L’agenda nascosta, Piovono pietre, La parte degli angeli) e insignito per ben due volte dell’ambita Palma d’oro (Il vento che accarezza l’erba, Io, Daniel Blake).

The Old Oak, il nuovo (e ultimo) film di Ken Loach, al cinema con Lucky Red
The Old Oak e quel luogo da conoscere…

Ma non solo perché The Old Oak sarà anche l’ultima volta su un set per l’autore britannico che, prossimo a raggiungere gli ottantasette anni, non ha alcun dubbio al riguardo: «Realisticamente? Sarebbe davvero difficile per me girare un nuovo lungometraggio. I miei film richiedono almeno un paio d’anni per essere realizzati e le capacità diminuiscono mese dopo mese. La memoria a breve termine va e viene e la vista è piuttosto difettosa ormai. Quindi, si, è piuttosto complicato…». L’esperienza sul set lo ha portato a confrontarsi con le esigenze fisiche delle lunghe giornate di lavorazione e stavolta è stata più dura del solito: «Non sono proprio sicuro di poter tornare di nuovo in campo, è come se fossi un vecchio ronzino al Grand National. Te ne stai lì e pensi: “Buon Dio, non cadrò mica dopo il primo ostacolo, vero”?».

Dave Turner ed Ebla Mari in una scena di The Old Oak
Dave Turner ed Ebla Mari in una scena di The Old Oak

E quindi di nuovo in coppia con lo sceneggiatore Paul Laverty, fido compagno di viaggio dal 2001 di My Name Is Joe, con cui chiudere i conti in sospeso dopo i precedenti di Io, Daniel Blake e Sorry We Missed You e raccontare di come conciliare il passato di lotta sociale con il difficile presente di integrazione dell’Inghilterra contemporanea: «The Old Oak nasce dal desiderio di voler parlare dei molti villaggi che sono stati abbandonati quando hanno chiuso le miniere. Abbiamo camminato per questi villaggi e incontrato gente anziana che ricordava ancora l’odore della carne che bruciava nelle miniere. Abbiamo parlato con loro, siamo entrati nelle loro case e ciò che ci ha colpito di più è stata la differenza tra loro e altre persone più giovani che abitano nelle stesse strade, la cui vita è stata distrutta».

Dave Turner è TJ Ballantyne in un momento di The Old Oak
Dave Turner è TJ Ballantyne

Poi la rivelazione: «Il passato fa parte del nostro carattere inglese, non è solo una nozione. Abbiamo visto la disintegrazione che portò lo sciopero del 1984, la perdita di lavoro». Da qui la scelta del punto di vista narrativo dei rifugiati siriani, introdotti nella narrazione di The Old Oak in un suggestivo e incisivo prologo in bilico tra cine-realtà e finzione che sceglie inizialmente di attutire la violenza della discriminazione lasciandola dedurre in una scissione di componenti. Immagine e suono viaggiano su due binari paralleli in apertura di racconto: «Da alcuni si sentono dire di andarsene, da altri come possono essere aiutati. Perché? C’era e c’è ancora questa dicotomia e volevamo assolutamente raccontarla». Poi le unisce Loach, attraverso una svolta narrativa tanto semplice quanto telefonata, eppure efficace nel dare il via a un racconto di insensata crudeltà e bontà d’animo tra integrazione e xenofobia nella contea di Darham.

Ebla Mari è Yara in una scena del film
Ebla Mari è Yara

«La cosa più importante per raccontare una storia è prima di tutto capire», ha spiegato il regista, «Se si vive in quelle comunità e la casa accanto alla tua viene comprata per seimila euro per dare rifugio a qualcuno che ha problemi di droga, ad esempio, tutto il tuo mondo crolla, e non hai alcun potere, alcun controllo. Non puoi andartene, non puoi vendere la tua casa, ti senti in trappola. E sì, in parte è vero, sono stati fregati. Quindi quello che potevamo fare era capire la loro posizione e raccontarla». In quella forbice valoriale tra accoglienza solidale e violento rifiuto si gioca la partita di The Old Oak e con essa la scelta di Loach di scuotere la coscienza sociale riportando nel presente il senso di comunità e coesione del passato, stando sempre dalla parte dei più deboli e degli esclusi: i proletari di ieri, i rifugiati dell’oggi.

Il film è stato presentato in concorso a Cannes 76
Un altro momento del film

L’obiettivo? Tutelare l’individuo: «Ciò per cui la gente combatte è la sicurezza e la dignità. E in tutte e tre le situazioni – che fosse Daniel Blake costretto alla fame, che fossero i lavoratori occasionali come Ricky in Sorry We Missed You che non hanno sicurezza sul lavoro, che siano le persone sfruttate e abbandonate, alcune anche con il trauma di una guerra alle spalle di The Old Oak – gli sono state portate via entrambe. Il comune denominatore dei film miei e di Paul è una società basata sul profitto, dove la libertà di mercato viene scambiata per libertà. Sono tutti sintomi di un unico conflitto socioeconomico». E Loach li racconta con il suo, solito, stile di immagini pure, limpide. Iconografie di working-class legate in un montaggio armonioso di dissolvenze sfumate in nero e tutte avvolte intorno a una narrazione di facile fruizione, tanto semplice quanto (eccessivamente) didascalica.

Una scena del film
Una scena del film

Tutto al fine di rendere chiaro e immediato il messaggio di The Old Oak, ovvero della necessità di essere accoglienti ma anche di capire le ragioni disperate dietro all’odio populista: «Spero che il pubblico si diverta ad incontrare le persone all’interno del film e ne condividano le loro domande e contraddizioni. Spero soprattutto che capiscano il motivo per cui fanno ciò che fanno, perché alcune persone vogliano accoglierli e perché altre le temono non avendo nulla da dare. Spero che vedano quanto è triste quando le persone che hanno bisogno di aiuto non sono la causa dei loro problemi. Questo può portare al razzismo alimentato dall’estrema destra».

Dave Turner in un momento di The Old Oak
Dave Turner in un momento del film

Perché in fondo è questa l’essenza del cinema di Ken Loach. Un cinema che non ha mai smesso – e non smetterà mai – di raccontare con piglio critico e indagatorio delle ragioni dei più deboli, degli esclusi e delle della classe operaia. Un cinema che denuncia, che protesta, che accusa violentemente arrivando sino all’iper-didascalismo esplicito, eppure necessario in un periodo che appare sempre più buio e oscuro, dagli esiti incerti. Loach però non si scoraggia, non si abbatte, cercando sempre la bontà, la compassione e l’amore che alberga negli esseri umani. Perché in fondo: «Penso si noti ci sia un vuoto nell’educazione, nella morale delle persone, perché noi, come uomini, siamo generosi e diamo aiuto a chi è in difficoltà. Spero che il pubblico abbia la pazienza di cogliere queste complessità in The Old Oak».

  • HOT CORN TV | Ken Loach: «The Old Oak, il pessimismo e il mio film»
  • PODCAST | Ken Loach e la lotta continua di Sorry We Missed You
  • SPORTCORN | Il mio amico Eric, Cantona, Loach e una favola proletaria

Qui sotto potete vedere la nostra intervista:

 

 

 

 

 

 

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