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Le origini di The Mask? Un fumetto folle e la maschera comica di Jim Carrey

Pubblicato nel 1989 sulla rivista Mayhem, il fumetto è lontano dalla commedia diventata cult

Jim Carrey è The Mask nel film del 1994.

ROMA – «Esatto Wendy, tutti noi indossiamo una maschera, metaforicamente parlando». Era il 1994 quando The Mask arrivò al cinema, in Italia poi con il titolo The Mask – da zero a mito, segnando per sempre una generazione. L’attrattiva principale verso il film era ispirata dalla presenza di uno degli attori che proprio in quegli anni si trovava sulla cresta dell’onda: Jim Carrey. Non tutti sanno, però, che alla base del progetto c’era altro. The Mask, lo trovate in streaming ora su Prime Video, NOWtv e Apple TV+, è un film complesso, sia a livello tematico che formale. Basta soffermarsi sui dettagli a comporne l’insieme. Tutto si ricollega alle origini del film, all’ispirazione da cui la sceneggiatura prese prima forma, per poi essere riformulata nell’opera che conosciamo. Partendo dalle origini possiamo tentare di unire i vari puntini che hanno condotto alla attuale identificazione, inquadrando la trasposizione all’interno di un progetto che trova le sue radici in un contesto non affatto distante dalle possibilità espressive della dimensione figurativa che abbiamo visto, ma comunque distantissimo dal prodotto che conosciamo.

 The Mask
Un’immagine dell’originale The Mask

Le origini di The Mask vengono rintracciate in un fumetto pubblicato nel 1989 sulla rivista Mayhem (edita da Dark Horse). Dalla mente di John Arcudi (testi) e di Doug Mahnke (disegni) vennero tratteggiate le prime vicende al cui centro troviamo la leggendaria maschera. Ad essere ancora più precisi, andando oltre la storia più nota, i primi germogli del personaggio si rintracciano ancora prima, addirittura nel settembre del 1987, in un’opera dall’emblematico nome The Masque, sempre edita da Dark Horse, ma creata da Mike Richardson (il quale si dice diede vita e forma al soggetto) e Mark Badger (fautore di dialoghi e disegni). Addentrarsi all’interno del fumetto originario resta qualcosa di affascinante, soprattutto quando si tenta di paragonarne le pagine al risultato cinematografico.

The Mask
Jim Carrey in una scena di The Mask

Il fumetto di The Mask è un prodotto tipicamente anni Ottanta, resta quindi un figlio del suo tempo in tutto e per tutto. Nelle vicende narrate veniamo a scoprire le origini della maschera ritrovando anche alcuni volti presenti nella pellicola del 1994. Tutto però cambia traslato da uno sguardo artistico che mira, evidentemente, a un obiettivo differente da quello cui anelava il film, dipingendo ogni tavola, pagina e sviluppo con una violenza quasi irriconoscibile. Il The Mask di queste storie è pazzo, è follia spregiudicata e sociopatica in tutto e per tutto. Curiosamente è proprio nella dimensione stampata che questo personaggio riesce ad esprimere tutte le sue potenzialità senza alcuna remora nei confronti di chi sta guardando/leggendo. La violenza più cupa diventa ben presto il simbolo di un’epoca che appare sempre più lontana dalla nostra.

Un dettaglio di una tavola

La sua estetica è simile a quella del film, ma al tempo stesso diametralmente opposta anche solamente nello sguardo, delineando un personaggio difficilmente riconoscibile dai fan storici della pellicola, ma comunque curiosamente vicino a lui per certi versi. La storia del fumetto si apre con Stanley Ipkiss, un vero e proprio caso umano di repressione e negazione con profondi problemi mentali, intento ad acquistare una maschera come regalo per la fidanzata. Gli eventi (senza fare spoiler) lo condurranno a indossarla per poi risvegliare e riportare a galla tutti i demoni che da sempre reprime dentro di sé. Partendo dal protagonista è bene fare un primissimo confronto, prima di addentrarci nei dettagli dell’opera cartacea. Lo Stanley del fumetto e quello del film non sono la stessa persona. Se nel film il protagonista ci viene presentato come un impiegato di banca un tantino mattacchione, con la passione per i cartoni animati e una gentilezza naïf, qui la situazione è ben differente.

the mask
Il momento in cui Stanley indossa la maschera

Lo Stanley del fumetto è un disadattato sociale represso, con lui la maschera trova terreno fertile proprio nei turbamenti psichici che si trascina dietro da anni, ampliandone le possibilità fino a disinibire ogni forma di morale personale. La maschera dei fumetti ha un approccio molto più violento e simbiotico con chi la indossa, amplifica il carattere e inibisce tutto il resto. Ti rende immortale e con tutte le capacità che abbiamo visto anche nella pellicola, soltanto che non è per nulla facile da controllare. Così Stanley cade facilmente in preda ai suoi problemi interiori pronti a prendere il sopravvento, seguiti da una sindrome di onnipotenza fulminea. Da ciò ne fuoriesce un vero e proprio sociopatico sregolato (le ispirazioni a Joker sono più palesi che mai) il quale ha a cuore soltanto l’idea di vendicarsi di tutti coloro che gli hanno fatto un torto nella vita, o hanno intenzione di fargliene.

Una scena del film

La vendetta di Ipkiss si consuma in sanguinosi atti di violenza inaudita, accompagnati da un menefreghismo totale e distaccato verso la vita del prossimo. Teste mozzate, organi esplosi, sangue lungo tutte le pagine. La violenza più pura, gore e cruda dalle mani di un pazzo irriconoscibile agli occhi di chi amò il film. Questo è uno dei tratti più affascinanti del fumetto di The Mask, anche perché partendo dall’esperienza di Stanley con la maschera si riesce anche a comprendere lo stesso ruolo che questo oggetto assume nella storia. Qui, diversamente dal film, la maschera stessa parrebbe avere una sua propria volontà ed approccio agli esseri umani, ricordando appunto i simbionti come Venom. Il tutto viene traslato e ingigantito dallo stile generale di questi disegni coloratissimi, realizzati con un tratto estremamente attento allo specifico espressivo di chi la indossa, soffermandosi sulle conseguenze immediate e sanguinarie delle sue azioni. La storia, contrariamente al lato estetico, resta abbastanza semplice e lineare, tutta incentrata su quello che la Maschera può dare o togliere, e sulle sue origini.

Un dettaglio di una tavola di The Mask

Nel film questi aspetti sono stati cancellati, sostituiti da una trama che parla sì dell’animo umano, e dei problemi intrinsechi che tutti noi ci trasciniamo dietro, tamponato però da un genere ben lontano da quello di appartenenza: la commedia. La scelta di trasporre questa storia modellandola con gli stilemi della commedia risultò vincente. Resta comunque il dubbio sulle potenzialità di una maschera limitate in una dimensione, per certi versi, più “corretta”. E’ importante ricordare che anche lo Stanley di Jim Carrey utilizza la maschera esclusivamente per assecondare i suoi fini, anche se lo fa mantenendosi sempre sul filo della morale comune. Se nel fumetto la maschera distrugge i freni inibitori di tutti i suoi portatori, con il film si sono concentrati maggiormente sullo specifico carattere di chi la indossa. Da ciò un protagonista diverso, delineato da un carattere che la maschera non può troppo guastare e un cattivo che da stereotipato diventa mostruoso. La netta scissione tra Bene e Male è forse la più grande pecca della trasposizione cinematografica, in una storia che resta piena di buoni propositi lungo tutto il suo percorso.

Una scena del fumetto

Nel fumetto ciò non avviene, anzi il personaggio di Stanley, fuori controllo fin dalle prime pagine, viene ben presto sostituito da un altro protagonista: Il Sergente Kellaway. Con lui viene sviluppata quella che potremmo definire “la storia principale” con la maschera che resta l’unica vera protagonista dall’inizio alla fine. Attraverso questa, è la moralità stessa ad essere sempre e continuamente messa ai ferri, anche perché la semplice scissione fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato si scontra con le infinite pieghe dell’animo umano che nel fumetto non ha più alcuna regola o limite. Con la maschera addosso il male è indescrivibilmente cruento e senza limiti, mentre il bene resta relativo a un tipo di violenza che si apre a più letture. Per fare un esempio, quando il sergente la indossa diventa anche lui “testone” (come viene identificato nel fumetto). Diversamente da Ipkiss la sua più grande frustrazione si lega al fatto che non riesce a incastrare i grandi criminali della città protetti anche dalla legge. Così con la maschera indosso diventa una sorta di giustiziere sanguinario senza alcun limite. Il suo operato con la maschera è giusto? È sbagliato? Non ci interessa e non ci è dato saperlo.

Jim Carrey e Cameron Diaz in una scena di The Mask

Nel film, invece, quando vediamo Stanley trasformarsi non abbiamo alcun timore nei confronti di quello che potrebbe fare con quei poteri, ci sentiamo al sicuro con lui e sappiamo – complice specialmente il lavoro di Jim Carrey – che non si arriverebbe mai ad atti di onnipotenza violenti. Il “testone” della pellicola è un bambinone sregolato all’ennesima potenza che pensa sì a se stesso, ma senza nuocere a nessuno (o a nessuno che non se lo meriti). Le sue azioni sono strettamente legate alla dimensione della commedia, trasponendo un personaggio ben lungi da quello del fumetto, pur tendone tutte le caratteristiche preminenti sia estetiche che non (basti pensare alla scena dei palloncini. Nel fumetto è identica, soltanto che qui il fucile mitragliatore falcia in mille pezzi i criminali sul posto).

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Un dettaglio della tavola del fumetto originale

Non tutti, però, sono a conoscenza del fatto che la primissima stesura di The Mask fu molto diversa dal prodotto cinematografico che tanto amiamo, e molto più vicina alle dinamiche distintive del fumetto. Scritta nel 1991, originariamente la sceneggiatura era contraddistinta da elementi prevalentemente splatter-pulp, con una violenza pronta ad abbracciare anche dinamiche provenienti dal genere horror. La maschera perveniva al protagonista nello stesso modo, soltanto ne venivano approfondite le origini con un breve approfondimento in cui la vediamo trafugare da un villaggio dell’isola di Haiti per poi essere contrabbandata in America (dimenticate dunque il legame con Loki). Al centro della pellicola avremmo comunque trovato il nostro Stanley Ipkiss, qui però più vicino al personaggio del fumetto. Un represso dalle caratteristiche psicotiche con problemi nel profondo. Il suo rapporto con la maschera sarebbe stato lo stesso che troviamo sulla carta stampata, se non fosse che la trama si sviluppa interamente su di lui come nel film che conosciamo.

Rispetto al film, il fumetto è molto più cruento e violento

La maschera, quindi, venne inizialmente pensata come un oggetto quasi senziente in grado di fare qualsiasi cosa. In questa versione del film, però, il portatore non avrebbe mai più potuto togliersela a meno di sentire una specifica melodia di tamburi ad essa legata. Il regista che venne scelto, per poi restare nel progetto, fu Chuck Russel, e non a caso, dato che all’epoca la sua fama girava intorno ad alcuni suoi film notoriamente horror come Nightmare 3 – I guerrieri del sogno o Blob – Il fluido che uccide. La sua visione si sarebbe perfettamente sposata con la primissima stesura del film. Il voler creare qualcosa di fedele al fumetto però si rivelò più complesso di quanto non credessero, e alcune problematiche legate sia al budget che al rating, traslarono il tutto nella dimensione della commedia, dando vita all’opera che conosciamo (si vocifera che prima di Carrey, per la prima versione del film, volessero Nicolas Cage).

Un’immagine del film

Il prodotto definitivo è una sorta di commistione fra gli elementi originali e qualche novità tipica del periodo, addolcita da un genere e da una spigliatezza generale da non sottovalutare affatto. Il fumetto ha aperto la strada ad alcune riflessioni interessanti che nel film tornano assumendo caratteristiche familiari e inedite. Tutta la riflessione sulla maschera sociale scissa da quello che abbiamo dentro, tra quello che siamo e quello che vorremmo davvero essere, fusa al confronto fra l’individuo e una società che tende a reprimere qualsivoglia forma d’individualismo, seguendo una livella che necessariamente taglia fuori parte di ciò che siamo nel profondo, ritornano con una linfa differente e coerente.

Una sequenza del fumetto di The Mask

Dal grande successo del film ne derivò, nel 1995, una serie animata, anche questa ispirata in parte ai fumetti. Prodotta dalla Dark Horse Entertainment e composta da un totale di 54 episodi in 3 stagioni, in cui ritroviamo i personaggi di sempre con nuove idee e spunti in più direzioni, sia narrative che estetiche. Inoltre nel 2005 arrivò nelle sale un sequel del film intitolato Son of The Mask, scritto e diretto da Lance Khazei. Al centro della pellicola abbiamo un nuovo protagonista intento a relazionarsi con la maschera e con le origini già accennate nella prima pellicola. Il film venne stroncato dalla critica vincendo, ai Razzie Awards del 2005, il premio per il Peggior Sequel o Remake.

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Un dettaglio della copertina di Omnibus Verde e Rognoso

Tornando al fumetto, in Italia è possibile recuperare esclusivamente l’Omnibus Verde e Rognoso, un unico volume contenente le tre miniserie a comporre la storia della maschera. È un recupero obbligatorio se si è fan del film. Addentrarsi in questo fumetto significa saltare in una storia dalle tinte noir ed urban, sporcata da uno stile che si è inevitabilmente smarrito con il film. Il modo in cui vengono trattati i protagonisti e la maschera stessa restano un esempio di scrittura in cui ogni regola salta in funzione di una caratterizzazione fatta di sfaccettature labili e soggette a una debolezza umana. Lo stile dei disegni resta una costante sfida alla morale del lettore, delineando un black humor che fa sorridere a denti stretti con un totale menefreghismo verso il prossimo. Ne fuoriesce un trattato narrativo e figurativo che merita di essere riscoperto, anche insieme al film, in un’evoluzione che trova un culmine prima nell’underground dei fumetti e poi come blockbuster del cinema di massa.

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