MILANO – Se è vero che le amicizie adolescenziali possono segnare il corso di una vita, arricchendola o lasciando un vuoto difficile da riempire, allora sono davvero materiale per un film, come già ci ha insegnato molti anni fa Rob Rainer con Stand By Me, divenuto un classico ormai (ve ne avevamo parlato qui). Deve averlo pensato anche Graham Foy con il suo debutto alla regia, The Maiden, presentato ormai tre anni fa alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia, era il 2022, e poi in selezione del Toronto Film Festival prima di sparire totalmente nel nulla (al momento è introvabile in streaming). Foy, nato come direttore della fotografia, ha scelto per il primo lungometraggio una storia drammatica e piena di dolore, ma pervasa da un realismo magico che fa mettere in discussione tutto ciò che lo spettatore pensa di sapere.

Siamo a Calgary, Alberta, in Canada, uuna città che nella sua stessa conformazione è piena di contraddizioni: da un lato moderna, costellata di grattacieli, ma ancora piena di retaggi e influssi della cultura western, tanto da essere soprannominata “Cowntown”, ovvero la città delle mucche. E la sua periferia, dove si muove la storia dei tre protagonisti di The Maiden, può benissimo essere scambiata per una di quelle città della provincia americana dove poco succede, ma tutto sembra importante, fondamentale. Kyle (Jackson Sluiter), Colton (Marcel T. Jímenez) e Whitney (Hayley Ness) sono tre amici nel pieno dell’adolescenza. Stanno ancora crescendo ma sono già diversi dai coetanei e da tutto ciò che li circonda e lo stare insieme solidifica questa sensazione.

Quella che Graham Foy mette in scena è un’estate piena di spensieratezza, interrotta bruscamente da una tragedia e quindi da un abbandono. Figlio del cinema più riflessivo e introspettivo, il film ha tutta l’atmosfera di essere un sogno, quasi come fece Peter Weir in Picnic ad Hanging Rock. I suoi colori e il suo racconto fanno pensare a un ricordo lontano più che a una storia contemporanea. E infatti in parte è così: cresciuto a Calgary, il regista è partito dalla sua autobiografia per girare e costruire un film pregno di sguardi, gesti e, soprattutto, silenzi. Le emozioni dei protagonisti sono contenute nel loro sentirsi persi, nel vagare da un luogo all’altro della città senza più trovare un vero senso a ciò che gli sta attorno. Kyle si sente così, dopo che Colton – il suo migliore amico – perde tragicamente la vita. Anche Whitney si sente così dopo che la sua migliore amica l’ha abbandonata.

Un burrone fuori città diventa il luogo dove realtà e paranormale si scontrano e si mischiano. È il diario di Whitney, affidato a una nicchia nascosta tra le rocce, che permette a Kyle di entrare in un mondo parallelo, dove l’amore per la natura, la passione che univa lui e Colton nelle loro scampagnate ad esplorare il burrone, diventa il filo che connette i due amici anche dopo la morte. The Maiden è un film lento e pieno di emozioni, si prende il suo tempo per portare lo spettatore con Kyle nella natura, immerso nel silenzio pieno di pace dove le parole non servono. Verso la fine di un’estate che cambierà per sempre la sua vita, un gatto nero dà al ragazzo la speranza che tutto andrà bene, mentre quando iniziano a scorrere i titoli di coda un sentimento misto di sollievo e angoscia attanaglia chi guarda. Da non perdere, se riuscite a trovarlo…
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