in

The Beast | Léa Seydoux, George Mackay e il dolore di un amore finito

Dal 21 novembre in sala con I Wonder, una distopia ispirata a un racconto di Henry James

Una scena di The Beast di Bertrand Bonello: Dal 21 novembre al cinema con I Wonder Pictures
Una scena di The Beast di Bertrand Bonello: Dal 21 novembre al cinema con I Wonder Pictures

ROMA – Vi siete mai chiesti quali siano effettivamente le ferite capaci di sopravvivere all’amore iniziato e poi interrotto, eppure disseminato nel corso di un’intera vita e forse molto di più? Ci sono amori che non abbiamo mai vissuto e che quasi certamente non avremo il privilegio di vivere. Li immagineremo però e lo faremo attraverso lo sguardo e il tocco. Quello concreto, oppure apparente e fantasmatico, che nella folla o si disperde, oppure ci lega a quel momento per l’eternità. Il volto sul tram, piuttosto che dal lato opposto della strada, il gomito sfiorato sul bracciolo della sala cinematografica o ancora in viaggio, dall’altra parte del mondo. Lì dove un incontro fortuito e mai realmente esplorato, può immediatamente farci sentire a casa. Lì dove mai ci saremmo immaginati di incontrare l’amore, che forse non è realmente tale, eppure è così che si presenta a noi. Perché le ferite dunque?

I baci di The Beast
I baci di The Beast

Perché ad ogni amore finito, oppure mai cominciato e soltanto desiderato, o ancor meglio, immaginato, corrisponde un dolore, che è tanto della memoria, quanto del cuore e che è diverso per ciascuno di noi, inevitabilmente. Un dolore che sopravvive al tempo, all’evoluzione degli spazi e delle vite. Ci sopravvive infatti e a noi a lui. Quella dell’eterno amore e dolore, è una questione esplorata di frequente dalla letteratura, eppure la rintracciamo raramente nella produzione cinematografica d’oggi. Accadeva rispetto al meraviglioso e leggendario Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola (e James V. Hart), in quel breve eppure incredibilmente celebre e significativo passaggio: «Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti» e accade ancora a distanza di trentadue anni, nel surreale, onirico e sperimentale The Beast (La bête), undicesimo lungometraggio da regista di Bertrand Bonello.

The Beast di Bertrand Bonello, dal 21 novembre al cinema con I Wonder Pictures
The Beast di Bertrand Bonello, dal 21 novembre al cinema con I Wonder Pictures

Come detto, agli amori finiti, oppure mai cominciati, sopravvivono le ferite, che appartengono alla memoria e al cuore. Ferite che possono condurre ad un nuovo doloroso tentativo d’amare, nonostante le trasformazioni del tempo, dei corpi e degli scenari attraverso i quali questi si muovono incessantemente e confusamente. All’amore però appartengono anche zone grigie, o addirittura buie e spaventose, come quelle della rabbia e della violenza. Le stesse che possono condurre alla morte. Talvolta come atto ultimo d’amore, altrimenti di disperazione, laddove niente è mai potuto cominciare. Gabrielle (Léa Seydoux è magnetica e seducente) e Louis (George MacKay, interprete dall’indubbio talento), sono i protagonisti assoluti di The Beast. Due giovani individui che forse un tempo si sono amati, o almeno, hanno tentato disperatamente di farlo, pur avendo piena consapevolezza di un destino avverso e di un presagio, che come un’ombra non si sarebbe allontanata mai, né dall’uno, né tantomeno dall’altra.

Gli occhi di Léa Seydoux
Gli occhi di Léa Seydoux

Com’è possibile dunque vivere un amore, se la morte non attende nient’altro, se non l’irruzione improvvisa e dolorosa sulla scena dei sentimenti e dei legami spezzati dalla brutalità e dall’irrimediabilità della morte? Bonello all’ombra come presagio, preferisce la figura certamente più terrena, eppure simbolica del piccione. Colui che di solito è incaricato di portare un messaggio, che è quasi sempre di vita, mentre in questo caso invece, di morte. A meno che resti confinato all’esterno, senza mai violare gli spazi interni di Gabrielle e Louis. Spazi che superficialmente appartengono allo scenario domestico, mentre scavando più in profondità, al cuore e alla memoria. Ecco che Bonello, sospeso tra l’immaginario surreale, onirico e letterario di Murakami e quello invece cinematografico di Vecchiali, Lynch e Carax, si incarica in compagnia dei suoi due eccellenti interpreti, di raccontare l’evoluzione di una follia d’amore, attraverso i secoli, gli spazi virtuali e fisici del tempo e della tecnologia, che incessantemente prosegue il suo avanzamento.

Un momento di The Beast
Un momento di The Beast

Sembrerebbe quasi osservare Eternal Sunshine of the Spotless Mind e ancora Vanilla Sky, eppure è soltanto apparenza. Il processo creativo di Bonello è in questo senso caleidoscopico e psichedelico, nel suo confuso eppure vividissimo intreccio tra linguaggi e codici d’immagine estremamente differenti tra loro. Si passa infatti per il cinema in costume, il videoclip, il sci-fi, il noir e così il cinema horror, del quale Bonello si serve per sprofondare una volta per tutte i suoi due giovani innamorati, nella reale vena di follia, disperazione, rabbia e violenza, che solo un amore mai cominciato e soltanto desiderato, può generare. The Beast è certamente il film più ambizioso, allegorico, denso e respingente di Bertrand Bonello. Capace di dar vita ad un vero e proprio universo di toni, personaggi e stili, mantenendoli in vita per quanto possibile, senza mai farli cozzare gli uni contro gli altri, piuttosto donando loro grande libertà di vagare nel tempo, negli spazi e negli sguardi.

Un momento del film
Un momento del film

Protetti talvolta da un liquido amniotico oscuro e seducente, altrimenti affidati agli stilemi e topos dei generi di riferimento. Laddove l’horror prende piede, è la paura a dominare e così la violenza in The Beast, quella vera, spaventosa e macabra. Sembrerebbe essere una libera trasposizione della celebre novella di Henry James, La bestia nella giungla, eppure guardando a questa folle parabola sull’amore impossibile, dagli inizi e dalle fini misteriche e fantasmatiche, delle quali inevitabilmente devono – e dobbiamo – raggiungere piena consapevolezza nel corso del tempo, non può che tornare alla memoria Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Quest’ultimo avrebbe forse riassunto il significativo profondo del film: «Come finisce un amore? – Ma allora finisce? Nessuno – salvo gli altri – lo sa mai; una specie d’innocenza nasconde la fine di questa cosa concepita, propugnata e vissuta come eterna. Qualunque sia la fine dell’oggetto amato, sia che esso scompaia o passi nella sfera Amicizia, io non lo vedo neanche svanire: l’amore che è finito si allontana verso un altro mondo come un’astronave che cessa di mandare segnali: l’essere amato che prima segnalava chiassosamente la sua presenza, diventa tutt’a un tratto muto (l’altro non scompare mai come e quando ci si aspetta)».

Lascia un Commento

Un estratto dalla locandina ufficiale di Carry-On, dal 13 dicembre su Netflix

VIDEO | Taron Egerton, le minacce di Jason Bateman e una scena di Carry-On

Massimo Ranieri in un momento della nostra intervista per parlare di Spellbound - L'incantesimo, dal 22 novembre su Netflix

VIDEO | Massimo Ranieri: «Io, il doppiaggio e l’esperienza di Spellbound – L’Incantesimo»