MILANO – Kantemir Balagov. Un nome e la promessa di un grande futuro nel cinema, che con Tesnota (lo trovate su Apple TV+), uscito nel 2017, ha lasciato a bocca aperta. Allievo di Alexander Sokurov, la cui influenza si percepisce nel film, ci porta nella sua città natale, Nal’ĉik, ai piedi del Caucaso, per raccontare una storia realmente accaduta, come ci informa con le poche frasi che compaiono all’inizio, prima di conoscere Ilana e la sua famiglia, le tradizioni ebree e le regole imposte dalle usanze. Una storia di etnie e conflitti sociali, in cui il rapimento del fratello di Ilana, David, è solo il pretesto per mostrare una comunità chiusa su sé stessa. Un enclave in cui la solidarietà tra i propri simili si scontra con un muro di odio e intolleranza.
Ma di cosa parla Tesnota? Nell’ultima Russia sovietica vediamo persone ai margini della comunità, in un’atmosfera verrebbe da dire strana, quasi alienante, un modo di vivere così lontano da noi allo stesso modo dei paesaggi, aridi, inospitali e freddi. Tutto concorre a dare il senso del clima di quegli anni. I dissidi tra Ilana e la sua famiglia, soprattutto sua madre, sono dettati dalle dinamiche sociali: ha una relazione con Kalim, che è un cabardino e quindi troppo diverso da quella che viene definita «La loro tribù».
D’altronde Tesnota si muove nel 1998 nella Repubblica Cabardino-Balcaria, due anni dopo la fine della Prima guerra cecena e appena un anno prima dell’inizio della seconda: i segni del precedente conflitto sono ancora vivi, già si sentono quelli che porteranno nuovamente allo scontro, mentre la Cecenia brucia ancora. Il frangente politico viene mostrato per poco, ma si avverte sempre, una presenza fissa sullo sfondo. Vengono menzionate le atrocità dei russi contro ebrei, armeni, ceceni e cabardini musulmani, i genocidi, ma ecco che anche nella tragedia non è possibile trovare un senso di comunanza e le lotte si instaurano anche tra le varie tribù.
In Tesnota, la sola scena di violenza che viene mostrata su questo nella videoregistrazione è anche l’unica scena non simulata, testimonianza vera degli anni della guerra che si insinua tra le pieghe della finzione. Queste le coordinate del mondo in cui Ilana si trova a vivere, un mondo fatto di regole e imposizioni che le vanno strette e che non accetta, compromessi in grado di stravolgere la sua vita ma a cui lei non si piega. Un senso di claustrofobia senza via d’uscita avvolge tutto e sembra non lasciare scampo.
Con Tesnota Kantemir Balagov, oggi reduce dal successo con La ragazza d’autunno, fa il suo ingresso sul duro palcoscenico del cinema mondiale con uno sguardo maturo – anche troppo – per una storia di disagio e smarrimento in un tempo e in un luogo segnati da conflitti e disuguaglianze. Tutto è equilibrato, calcolato, i pezzi si incastrano alla perfezione in un gioco di vicinanza e lontananza tanto tra i membri della famiglia quanto tra i membri della società. L’unica cosa che rimane da fare è tendere la mano per tentare di abbozzare un futuro e sperare che questo porterà a un lieto fine, ignorando che il tutto potrebbe risolversi in un’altra rovinosa caduta. Non ci è dato saperlo e, a quanto pare, nemmeno a Balagov: «non so cosa è successo dopo a quelle persone». Si può solo sperare.
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