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Le ossessioni di Stanley Kubrick e quel sogno svanito di nome The Pinocchio Project

Il primo racconto, A.I., Brian Aldiss: un documentario racconta un film che non vedremo mai

La leggenda: una rielaborazione grafica di Stanley Kubrick

MILANO – Ricordate A.I. – Intelligenza artificiale? Era il 2001 quando Steven Spielberg diresse una fiaba di fantascienza, ambientata in un mondo distrutto dai cambiamenti climatici (!) che avevano fatto sprofondare New York negli abissi. Spielberg definì il film come un viaggio in un mondo in cui i robot avevano sogni e desideri. A.I. – Intelligenza artificiale incassò 235 milioni di dollari e fu candidato a due Oscar, ma era solo l’ultima tappa di un viaggio più lungo. Molto più lungo. Ma facciamo un passo indietro per questa puntata di Doc Corn, la nostra rubrica dedicata ai documentari: siamo a New York e Stanley Kubrick è alla ricerca di una storia da raccontare. Ha bisogno di una storia che colpisca tutti. Unica. Universale. Un incrocio tra scienza, etica e fantasia.

Un’animazione del robot di The Pinocchio Project che diverrà poi David in A.I.

Impossibile? No. Anni prima – nel 1973 – aveva letto un libro di Brian Aldiss, Billion Year Spree: The History of Science Fiction, in cui veniva citato anche lui. Kubrick ne rimane colpito e telefona a Aldiss chiedendogli di vedersi. Durante l’incontro Aldiss gli para di un racconto dal titolo Supertoys Last All Summer Long, che aveva firmato nel 1969 per Harper’s Bazaar. La storia? Quella di un bambino di un futuro distopico, David, e del suo orsacchiotto robot, Teddy. Comincia così il viaggio di The Pinocchio Project, un percorso lungo quattro decenni che avrebbe condotto poi a A.I. – Intelligenza artificiale che Kubrick non avrebbe mai visto. Adesso tre registi italiani, Mauro di Flaviano, Federico Greco, Stefano Landini, raccontano tutto in un bel documentario di cinquanta minuti, Stanley And Us – The Pinocchio Project, che trovate in streaming su CHILI.

Brian Aldiss, dal cui racconto nacque il progetto.

Di Flaviano, Greco e Landini nel corso degli anni sono andati a intervistare gli scrittori che parteciparono al progetto, da Aldiss (scomparso nel 2017) a Sara Maitland che, ad un certo punto del documentario, dice chiaramente: «Ma quando lavoravo con Stanley alla sceneggiatura non lo abbiamo mai chiamato A.I. No, non era quello il suo nome. Per noi è sempre stato The Pinocchio Project». Oltre a Aldiss e alla Maitland, ecco anche Ian Watson, scrittore di fantascienza inglese, Jan Harlan, cognato di Kubrick e produttore esecutivo degli ultimi film, Phil Hobbs, genero del regista e suo collaboratore e anche Alexander Walker, storico del cinema e amico di Kubrick. Il risultato è un affascinante mondo parallelo in quello che avrebbe potuto essere il quattordicesimo film di Stanley Kubrick.

Sara Maitland in un momento di The Pinocchio Project.

Ma il progetto risultò troppo ambizioso. Kubrick costruì una storia dalla quale non poteva più fuggire. Non c’era margine di errore, quindi nessuna evoluzione. Un racconto che finì per collassare sulle proprie fondamenta, anno dopo anno, mentre nel frattempo il regista girava Shining e Full Metal Jacket. Così si chiuse The Pinocchio Project, dopo anni di lavoro e senza un lieto fine. Dopo l’universo di Collodi, Kubrick virò subito su un altro scrittore, Arthur Schnitzler, e sul suo Doppio sogno che divenne Eyes Wide Shut con Tom Cruise e Nicole Kidman. Il registà morì il 7 marzo 1999 e non vide mai il film finito. Pochi mesi dopo il suo grande amico Steven Spielberg, di cui aveva amato E.T., riaprì le pagine di The Pinocchio Project, lo snellì, dandogli tregua e lasciandolo libero di fluttuare. Arrivò A.I. – Intelligenza artificiale. Ma fu un’altra cosa.

 

 

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