MILANO – «Et chaque fois les feuilles mortes te rappellent à mon souvenir. Jour après jour les amours mortes n’en finissent pas de mourir». 2 marzo 1991, ci lasciava l’ultimo poeta maledetto, Serge Gainsbourg, l’homme à tête de chou. Cantautore, attore, regista, compositore, visionario dall’anima impaurita. Anni di Gitanes e superalcolici fermarono trent’anni fa quel cuore inquieto e malinconico, facendo calare il sipario su una vie heroique, erotique, che nonostante tutto conserva ancora il sapore di anice dei lecca lecca della famosa Annie.

Morì al 5 bis di rue Verneuil, sulla rive gauche parigina, nella casa che aveva scelto come nido d’amore per Brigitte Bardot, l’eterna Bonnie, initials BB, prima che gli chiedesse di scrivere per lei la canzone d’amore più bella del mondo. Prima che lei, coperta solo da un lenzuolo, seduta languidamente sulla coda del pianoforte, dopo averlo ascoltato gli dicesse che sì, quella Je t’aime moi non plus era davvero la canzone d’amore più bella del mondo. Prima che il suo ex marito, Gunter Sachs, la riconquistasse sul set di un film girato in Spagna, facendo precipitare Serge nella depressione più profonda.

In quella stessa casa dove vi si trasferì più tardi con Jane Birkin, giovane attrice inglese, conosciuta sul set di Slogan, pellicola del 1968 diretta da Pierre Grimblat, che racconta la storia d’amore nata a Venezia tra un quarantenne pubblicitario francese e la giovane Evelyne Nicholson. Nell’anno delle contestazioni, della rivoluzione, delle lotte giovanili, politiche e sociali, nasceva una storia che diventò Storia. Pazzi, irriverenti, passionali, lui quarantenne libertino, lei ingenua ventenne della Swinging London. L’occasione fu una serata organizzata da lei per rompere l’imbarazzo di un set reso difficile dal comportamento annoiato e disinteressato di Serge. «Dovrebbe recitare la parte del mio amante ma è così arrogante e snob e in più mi ignora completamente», commentò Birkin descrivendo Serge al fratello Andrew.

Tutto inizia al Chez Régine, discoteca sugli Champs-Elysées. Jane lo trascina in pista per ballare, lui tenta di resistere, poi cede. Un ballo goffo, l’incontro tra la spudoratezza giovanile e il terrore di chi ha l’anima alluvionata, il miracolo di un genio che trova la sua musa, di un uomo che trova l’amore della sua vita. La cena al Raspoutine, ristorante sulla Rive droite, la mancia ai violinisti – «Sono delle puttane, come me» – e il resto della notte trascorso in una fuga tra piume e paillettes, alcool e sudore, musicisti e prostitute. Una serata indimenticabile attraverso una Ville Lumière inquieta e fremente di rivoluzione e di folle urlanti. Je t’aime moi non plus diventò la loro canzone e la colonna sonora dell’omonimo film del 1976 diretto da Gainsbourg ed interpretato dalla Birkin. Diventò l’inno alla gelosia di una donna che per amore scelse di interpretare una canzone scritta per un’altra. Un inno ai sospiri, contro la censura. L’inno della libertà e dell’amore. Oggi più che mai, il requiem maledetto di un genio eterno.
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