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Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese, gli Anni 70 e la poetica menzogna di Bob Dylan

Verità, bugie, un tour e un’opera (su Netflix) destinata a restare. Attraverso un viaggio lungo un sogno

ROMA – Tutto vero, tutto falso. Non ci importa niente se Martin Scorsese abbia riscritto la leggenda di quel celeberrimo tour per farla riecheggiare in un mito immortale. Non ci importa se quello che abbiamo visto, in due ore e venti di immagini, musica e parole, sia per grossa parte il frutto di immaginazione, licenze intellettuali, trovate e istinti geniali. Del resto, come ammette lo stesso Bob Dylan, «Cosa ricordo del Rolling Thunder Revue? Nulla. Non ricordo nulla». Allora, Martin Scorsese, che inaugura il sodalizio con Netflix regalandoci Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese (in attesa di The Irishman), apre il suo flusso di coscienza (e brividi) con il corto The Vanishing Lady di George Méliès, ci porta poi sotto le Torri Gemelle di New York City – splendenti, a riflettere il cielo e l’acqua dell’isola di Manhattan, comprata dai Padri Pellegrini per una collana di pietre e vetro – e irrompe sul faccione di Richard Nixon, mentre dedica parole ridondanti al bicentenario degli Stati Uniti, nel 1976.

Robert Allen Zimmerman alias Bob Dylan

Così, improvvisamente, parte proprio la protesta di Mr. Tambourine Man, suonata da un Bob Dylan truccato come un pagliaccio triste. Scorsese, nel giro di pochi minuti, riassume gli Anni Settanta, tra azioni e metafore, ci trascina nel bel mezzo di uno sporco Lower East Side dove è nata la leggenda, culla del più grande cantautore e storyteller che il mondo abbia mai conosciuto. Tappa dopo tappa del Rolling Thunder Revue, eccessivo e disilluso come una carovana di circensi veri e fittizi, Scorsese alterna il volto di Dylan, a briglia sciolta e cuore libero, mentre racconta di Allen Ginsberg e di quella volta sulla tomba di Jack Kerouac, a parlare delle strade della vita; ci sono Joan Baez e Ramblin’ Jack Elliot. C’è la violinista Scarlet Rivera, scoperta da Dylan mentre camminava con il violino sulle spalle, tra le strade strette del Greenwich Village. «Rolling Thunder? Non fu un successo, ma un’avventura di successo», dice Dylan.

Una quantità enorme di materiale, passata da Bob a Martin, riprende vita in una storia impossibile, che mischia la dolcezza e la brutalità degli Stati Uniti alle dichiarazioni musicale, per mezzo delle poesie di Dylan. Just Like a Woman, Rita May, Isis, Hurricane, Knockin’ On Heaven’s Door, Hard Rain. Tra odore di sigarette, sudore e strade infinite (il tour partì da Plymouth, proprio dove arrivò la Mayflower nel 1620) i pezzi messi insieme da Scorsese – che ritrova la storia di Robert Allen Zimmerman dopo No Direction Home – sono menzogna e fatti, è un’epopea di viaggi e treni, di fuorilegge e chitarre. Bob Dylan, allora, diventa Shakespeare, passando dall’altra parte del fiume, salendo sui palchi di tutta l’America, insieme a Joni Mitchell, T-Bone Burnett, Roger McGuinn, per portare testimonianza di bellezza e comunità, raccontando di come «L’America debba essere ancora l’America, di come il sogno sia come prima».

Ehi, Mr. Tambourine Man

La grana della pellicola in 16mm ci fa scordare che siamo su Netflix, che il 1976 è passato e che, quarant’anni dopo, l’America cerca ancora la sua identità, mentre un menestrello del Minnesota lascia dietro di sé una scia di ricordi. Sembra di essere circondati dall’enigmatica aurea di Dylan, come se il suono della sua armonica abbia attraversato anni e anni per restare intatto in un documentario, in un film, in un manifesto. Insomma, chiamatelo come volete. E «Cosa resta di quel tour, Bob?» – «Non resta nulla, solo polvere». Forse è vero, forse è una bugia. Martin Scorsese e Bob Dylan, tra misterio e fascino, dicono tutto e non dicono nulla. Forse quella commedia d’arte è esistita solo in un sogno bellissimo, soffiato via dal vento una sera d’estate, mentre la risposta appare finalmente chiara: «Non cercare te stesso, ma crea te stesso».

Qui il trailer di Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story By Martin Scorsese:

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