MILANO – Lo conosciamo ormai bene: divertente, irriverente, a tratti anche spietato. Luca Pasquale Medici, in arte Checco Zalone, è uno dei comici contemporanei più amati e conosciuti, capace di sfondare gli incassi al cinema, superando anche i grandi blockbuster in termini di affluenza e numeri. Ne è passato di tempo da quando il personaggio di Zalone ha fatto la sua comparsa sul palco di Zelig, e da lì si è affermato diventando un volto noto del piccolo schermo. Il suo approdo al cinema con Cado dalle nubi nel 2009 ha reso immortale il suo alter ego e ha dato il via a una serie di commedie brillanti e dal retrogusto amaro, capaci comunque di dividere l’opinione pubblica e l’apprezzamento nei suoi confronti (e lo abbiamo visto bene con l’ultimo Tolo Tolo).
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La sua commedia non vuole solo far divertire e sorridere – anche se comunque riesce a farlo benissimo – ma nasconde dietro di sé anche un lato duro e quasi drammatico, che però riesce a rendere con leggerezza. L’intuizione vincente è stata quella di una commedia che, allo stesso modo di quello che faceva la commedia all’italiana, riuscisse a rappresentare un certo aspetto dell’Italia, una sua verità che sta sotto gli occhi di tutti. Come si vede palesemente in Sole a catinelle e Quo Vado – i due film il cui tema è quello del lavoro, o meglio, della perdita del lavoro –, quell’Italia che viene raccontata è quella del ceto medio impoverito, protagonista di situazioni quasi assurde che strappano una risata ma che a ben vedere sono il segnale di una situazione di forte disagio sociale.
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Da rappresentante che si ritrova all’improvviso senza clienti con una moglie sull’orlo del licenziamento a impiegato statale che deve fare i conti con la riforma amministrativa. E infine il già citato Tolo Tolo, il più attuale di tutti. Checco Zalone è riuscito, nel tempo, a dipingere un ritratto della nuova società, con tutti i suoi pregi e difetti (che sembrano essere di più rispetto ai primi), le sue abitudini, vizi e stereotipi. Che sia la posizione verso gli omosessuali o l’eterno divario tra Nord e Sud. E proprio per questo, nonostante i riallacci, le citazioni e gli omaggi alla commedia all’italiana siano tanti, non lo si dovrebbe definire a pieno discendente della tradizione.
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Proprio per la sua capacità di rielaborare e giocare con quel linguaggio che tutti conosciamo, la sua commedia è estremamente moderna, si potrebbe azzardare persino post-moderna, profondamente radicata nel suo tempo. Un tempo senza le cui coordinate storiche e sociali sarebbe difficile apprezzare fino a fondo i film. Alcuni lo hanno definito l’Adam Sandler italiano, e forse qualche affinità c’è. A metà tra la satira e la commedia, anche quella un po’ più superficiale, che però stranamente è efficace e non lascia spazio a dubbi. Ogni volta si riaccende il dibattito se la sua sia comicità a pieno titolo o solo satira fine a sé stessa, ma comunque non andrebbe sottovalutata. L’immagine dell’Italia che ne esce è sempre, lo si voglia o no, la nostra.
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