ROMA – Per più di un decennio tre documentaristi – Stefano Petti, Gabriele Acerbo e Alessio Accardo – hanno accumulato centinaia di interviste per realizzare il film definitivo su Paolo Virzì, il popolare regista di Ovosodo, Ferie d’agosto e Il capitale umano. Si sono infiltrati sui suoi set e hanno disturbato suoi amici e collaboratori famosi. Tra gli altri partecipano, più o meno volontariamente (in ordine di apparizione): Micaela Ramazzotti, Bobo Rondelli, Valerio Mastandrea, Carlo Virzì, Francesca Archibugi, Corrado Fortuna, Matilde Gioli, Massimo Ghini, Mario Sesti e Pierfrancesco Favino. Parte da qui Quel maledetto film su Virzì, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma (Storia del Cinema) e in onda su Sky (e in streaming su NOW) dall’1 novembre.

Il film definitivo su Virzì e il suo cinema in buona sostanza, figlio di uno sforzo produttivo straordinario fatto di auto-rallentamenti, sabotaggi, dedizione incalcolabile, fuori scala, che tra il serio e il faceto – «a metà tra un agguato e un gesto d’affetto» – ha visto il trio Accardo-Acerbo-Petti scandagliare vita, opere, miracoli cinematografici (e non) e curiosità del regista livornese passando dal dimenticato (e quasi rinnegato) Paso Doble a Siccità, aspettando l’invocato sequel di Ferie d’Agosto. Una sfida impossibile. Specie l’obiettivo di ridurre il tutto a 80 (densissimi) minuti. Da qui il genio di Quel maledetto film su Virzì. Un impianto narrativo dal doppio livello meta-linguistico tra lo scanzonato e la ricerca metodologica di pura indagine critica, che finisce con il rendere il documentario un inestimabile – e a conti fatti imprescindibile – pezzo di cinema.
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