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Phelippe Petite: «Beating Sun? Una metafora sulla condizione degli esseri umani»

Il regista racconta il film presentato in Concorso alla SIC 37, tra speranze, tenacia e fallimenti

Beating Sun
Swann Arlaud in una scena di Beating Sun, in Concorso alla SIC 37

VENEZIA – Max non sogna di realizzare “green wall” per alberghi a cinque stelle. Paesaggista tenace ma con le spalle al muro, lotta per creare un giardino naturale, senza recinzioni, nel centro di Marsiglia: un’area verde aperta a tutti. Dopo anni di fallimenti, il suo progetto raggiunge la fase finale di un concorso di architettura. Questa, per Max, è l’ultima possibilità di dare ossigeno alle persone che stanno soffocando in un inferno urbano, sotto il sole battente. Philippe Petit è un regista, sceneggiatore e attore francese. Ha diretto cortometraggi e mediometraggi presentati a vari festival, tra cui Primes de MatchDigital CutBuffer Zone e altri, e documentari quali Danger Dave e il più recente Grand Appartement. Ha lavorato come attore con molti registi, da Quentin Dupieux a Mia Hansen-Løve, Thierry de Peretti e Rabah Ameur Zaïmeche. Nel 2022 ha completato Beating Sun, il suo primo lungometraggio di finzione, prodotto da Frédéric Dubreuil di Envie de Tempête è in Concorso alla 37. Settimana Internazionale della Critica a Venezia 79.

Come nasce il film?

Anni fa mi sono chiesto: “Come sarebbe vivere come un albero?”. Mentre studiavo cinema lavoravo in una piccola azienda. Studiavamo l’impatto della costruzione di diversi progetti sulla natura. Passavo le giornate nella foresta, nei fiumi. Ho imparato un po’ a capire la natura con gli ingegneri. Decisi di scrivere una sceneggiatura ma per diversi motivi non ho potuto fare quel film. Sono tornato su quell’idea anni dopo, quando ho deciso di girare Beating Sun. Ma non volevo iniziare a scrivere la sceneggiatura senza la certezza che avrei ottenuto dei soldi per finanziarla. Diverse volte ho dovuto mettere da parte film dopo mesi o anni di lavoro. Sono sempre stato attratto dalle città. Ho deciso di lavorare su una storia che unisse queste due idee: natura e cemento. Allo stesso tempo, sapevo che era un argomento contemporaneo da affrontare.

Beating Sun
Una scena di Beating Sun

Consideri il tuo film come una metafora della condizione attuale?

Una delle cose più eccitanti del vivere è per me sentire che abbiamo la possibilità di passare da uno stadio all’altro. Sentire che il nostro corpo, il nostro cervello può migliorare ogni giorno.
È la stessa cosa per una pianta, se si sente bene con l’ambiente circostante e l’attenzione che le viene riservata. Rispetto a questo dobbiamo fare i conti con una mancanza di acqua, un eccesso di caldo. Il nostro corpo è un pianeta e abbiamo la possibilità (e responsabilità) di prendercene cura. Come molti di noi, mi sento felice, pieno, quando ho la sensazione di ottenere qualcosa, quando imparo dai fallimenti, non mi arrendo e rimango tenace e umile. Se la piazza dove Max sta disegnando il suo giardino all’aperto è arida, con vento, sole e ogni tipo di rumore intorno, il suo giardino dovrà cambiare questi aspetti. Non sappiamo se realizzerà il suo progetto su quella piazza ma dobbiamo capire che in futuro realizzerà dei giardini, che gli abitanti impareranno da quell’esperienza e troveranno un modo per combattere quel progetto alberghiero, un modo per rimanere in un atteggiamento costruttivo. Il film è anche una metafora della condizione degli esseri umani, con la maggior parte di noi costretti a vivere una vita altalenante.

Una scena del film di Phelippe Petit in Concorso alla SIC 37

Il progetto di Max è rifiutato perché si tratta di un giardino senza barriere. Perché le persone sono così spaventate dall’apertura mentale, geografica e politica?

Non è una domanda facile. Immagino che l’essere umano abbia iniziato a costruire un tetto per proteggersi dalla pioggia o dal sole. Anni e anni dopo che siamo circondati da porte, confini, regole… La priorità privata è diventata una delle regole della nostra vita sul pianeta. Siamo prima di tutto preoccupati dal nostro stesso corpo che ha un suo limite fisico, ma ci è stata data anche un’anima che non ha limiti, il concetto più illimitato e aperto che la vita possa dare. La mia domanda è: perché l’essere umano sta usando quell’anima per chiudere, distruggere, bruciare, uccidere? Perché abbiamo paura di dire «Per favore, unisciti ed entra?». È incredibile vedere cosa ci è stato dato, quella possibilità di costruire così tante cose e considerare cosa ne stiamo facendo. Abbiamo passato cose orribili nella Storia, e la verità è che non impariamo o non possiamo imparare dalla Storia. Ora stiamo iniziando a studiare gli alberi, il modo in cui vivono, in cui considerano il loro territorio- E sono tutti sorpresi dalla loro intelligenza, dal modo in cui si lasciano spazio. Stessa cosa con gli animali. Dobbiamo capire che è aprendo e condividendo le cose che troveremo il modo di affrontare il futuro che porterà milioni di persone alle nostre porte molto più velocemente di quanto pensiamo.

Un’immagine di Beating Sun

Swann Arlaud è un grande attore. Ma cosa ti ha convinto a sceglierlo per il ruolo?

Sono sempre stato molto colpito dai suoi occhi, da come vede le cose. La forza del suo sguardo. Ha quella straordinaria concentrazione e intensità nel suo corpo. Si comporta proprio come se stesse facendo svanire le cose intorno a lui. Costruisce i suoi personaggi con una sorta di silenzio avvolto dal lavoro, dall’umiltà e dalla generosità. È una pianta istintiva in movimento, attratta dal sole ma che ha anche bisogno di sentire le sue radici nel terreno. Volevo un personaggio nervoso, magro, molto organico. Quando finisci una sceneggiatura, se vuoi un attore famoso e se non sei molto conosciuto, devi trovare un attore che prima legga la sceneggiatura. Ho pensato che Swann potesse essere toccato da Max e dal suo progetto perché sapevo che è preoccupato per molte cose che lo circondano come l’ambiente. Swann ha il talento di non sbagliare mai una ripresa. Gli piace essere libero nelle proposte che per me è il modo perfetto di collaborare.

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