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Pat Metheny: «Io, tra Fandango, David Bowie e il tocco magico di Ennio Morricone»

Le colonne sonore, i film preferiti: il chitarrista racconta a Hot Corn il suo rapporto con il cinema

«Hollywood? No, grazie». Pat Metheny e la sua chitarra.

MILANO – «Ma certo, mi fa piacere». A volte basta una mail con una semplice richiesta per ritrovarsi nel mondo di uno dei più grandi chitarristi viventi, Pat Metheny, che ha accettato molto serenamente di parlare con Hot Corn assumendo un punto di vista diverso: il suo viaggio nelle colonne sonore. Da Fandango a Il gioco del falco, senza dimenticare l’amato Morricone (di cui ha reinterpretato il tema di Nuovo Cinema Paradiso) e Nick Nolte, Metheny ha scritto decine di score prima di capire che non era il suo posto. «No, non ero il tipo giusto per mettermi a negoziare con Hollywood e ho preferito seguire la mia strada. Tutto qui». Così, dopo il Goya vinto qualche anno fa per il bellissimo La vita è facile ad occhi chiusi, Metheny due anni fa ha anche scritto le musiche per un documentario, Becoming California. «Mi hanno convinto e l’ho fatto. Ma hai mai notato che i musicisti che scrivono colonne sonore sembrano di dieci anni più vecchi di quanto sono in realtà? Ecco, io so il perché: è un mestiere stressante riuscire a mettere d’accordo tutti…».

«Da dove cominciamo?». Pat Metheny in posa.

Partiamo dall’inizio di tutto? Siamo nel 1979 quando arriva la prima colonna sonora, scritta per un documentario: The Search For Solutions.
«Sì, fu quello il primo incarico come compositore: una serie scientifica, The Search For Solutions. Scrivere colonne sonore era una cosa che mi aveva sempre affascinato e quando saltò fuori quest’occasione non me lo feci ripetere e accettai. Era la fine degli anni Settanta, avevo appena messo in piedi il mio gruppo e pubblicato il primo disco a nome Pat Metheny Group. Riuscire a trovare il tempo fu la sfida maggiore. Comunque scrissi il tema principale (qui il trailer) e poi il resto dello score. Quel tema divenne poi The Search, che registrai su American Garage. Subito dopo mi chiamò un regista di Boston, Jan Egleson, per cui scrissi tre colonne sonore – Little Sister, Lemon Sky and Big Time. Lemon Sky (qui) aveva nel cast Kevin Bacon e Kyra Sedgwick e suggerii di usare solo la batteria di Jack DeJohnette, un’idea che poi diedi al mio amico Alejandro Iñárritu per Birdman, in cui era Antonio Sánchez a suonare la batteria per tutta la colonna sonora».

Kevin Bacon e Kyra Sedgwick in Lemon Sky, 1988.

Poi arrivò Fandango, che cambiò tutto…
«Sì, più o meno in quel periodo arrivò Fandango. Kevin Reynolds voleva affidarmi l’intera colonna sonora, ma visto che era il suo primo film da regista, la Amblin Entertainment che produceva la pellicola, preferì mettergli a fianco un compositore rodato che lo seguisse giorno per giorno. Arrivò Alan Silvestri. Va detto però che in quel periodo ero in tour praticamente tutti i mesi quindi sarebbe stato molto difficile chiudermi in uno studio a scrivere uno score. Eppure, nonostante tutto, Kevin riuscì a usare due pezzi miei, September Fifteenth e It’s for you. Nel corso degli anni Fandango è diventato un cult assoluto. Ripensandoci oggi, devo dire che amo molto il modo in cui Kevin ha usato quelle canzoni, specialmente come ha costruito la scena finale del ballo alla fine del film proprio sulle note di It’s For You (qui potete vedere la scena, nda)».

«Sì, è un pezzo di Pat Metheny». Kevin Costner e Suzy Amis in Fandango.

A quel punto la carriera da compositore di colonne sonore diventò davvero una nuova opportunità a fianco del jazz…
«Sì, infatti mi chiamarono per scrivere le musiche di Sotto tiro con Nick Nolte e Ed Harris. Il produttore era Jonathan Taplin. Era convinto fossi la persona giusta per la pellicola, così mi spedì un biglietto per Los Angeles per lavorare su alcune scene. C’era solo un problema: il regista, Roger Spottiswoode, che era al debutto, voleva assolutamente Jerry Goldsmith. Così gli dissi: «Ma certo, prendi Jerry Goldsmith, nessun problema!». Dopo qualche giorno però, lui e Jonathan decisero di farmi collaborare con Jerry, facendogli scrivere una partitura che includesse la chitarra. Che dire? Lavorare con Jerry fu una delle esperienze più belle della mia vita. Era incredibile, un’ispirazione continua, al punto che una volta finito Sotto tiro, tornai a casa e composi nuova musica per settimane da un punto di vista che non avevo mai considerato. Mai. Tra le cose scritte con lui (un brano è stato usato anche da Tarantino per Django Unchained, nda) c’era anche First Circle».

Facciamo un passo indietro: qual è il primo film che ricordi di aver visto al cinema?
«Sono abbastanza vecchio per ricordare il Vogue Theatre, a Lee’s Summit, in Missouri, dove sono cresciuto. Lì, con un quarto di dollaro potevi vederti due film ogni sabato. Una festa. Era il periodo di pellicole come Il mostro della laguna nera e cose di quel genere. Il ricordo più forte però è senza dubbio l’arrivo al cinema di A Hard Day’s Night di Richard Lester, il film sui Beatles. Uscì quando avevo dieci anni. Credo di averlo visto almeno dieci volte…».

Un’immagine promozionale di A Hard Day’s Night.

Un altro momento importante del tuo percorso nel cinema è senza dubbio Il gioco del falco di John Schlesinger…
«Sì. Siamo nel 1985. Avendo già registrato parecchie colonne sonore, continuavano ad arrivarmi offerte di vario tipo, ma io ero sempre in tour quindi declinavo quasi sempre. Quando però seppi che era John Schlesinger a cercarmi, trovai immediatamente il tempo. Consideravo Schlesinger un grande regista, uno di quelli che capiva il peso della musica all’interno di un film. La sceneggiatura del film poi, firmata da Steven Zaillian (che era uno dei suoi primi lavori) era fantastica, così come il cast. Partii subito per Città del Messico dove trovai Tim Hutton e Sean Penn sul set con John. Guardai le riprese per un paio di giorni e poi mi chiusi in hotel a scrivere il tema principale, che divenne poi This is Not America».

Timothy Hutton e Sean Penn ne Il gioco del falco.

E qui fa la sua sua comparsa David Bowie…

«Era il periodo in cui a Hollywood cercavano sempre di avere una canzone di una popstar famosa sui titoli di coda dei film. In realtà in quel periodo non conoscevo ancora molto bene la musica di David Bowie, fu proprio Schlesinger a suggerirlo. Così andai a comprarmi un po’ di dischi di Bowie, guidato dal batterista della mia band, Paul Wertico, che era un suo grande fan, ed iniziai ad ascoltarlo. Scoprii un musicista eccezionale e lavorare con lui su This is not America fu un momento indimenticabile. Ovviamente dopo quella collaborazione su Il gioco del falco mi arrivarono altre proposte, ma iniziai a ignorarle. Rifiutai quasi tutto».

E perché?
«Perché avevo ormai capito che scrivere colonne sonore era qualcosa che ero in grado di fare: avevo lavorato bene sui film per cui ero stato chiamato, non ero mai stato licenziato e tutti sembravano piuttosto soddisfatti del risultato. Nello stesso momento però realizzai anche che non andavo pazzo per il mondo di Hollywood, non era proprio una cosa che faceva per me. In più avevo la mia band, suonavo la musica che volevo in tour e facevo tutto a modo mio, senza limiti o costrizioni».

Cosa non andava con il mondo di Hollywood?
«Allora, il problema di scrivere colonne sonore non è semplicemente scrivere colonne sonore, ma tutto quello che ruota attorno: essere in grado di negoziare con dieci persone diverse oppure mettersi a discutere con il figlio dell’assistente alla regia che frequenta Berklee e quindi ti dice senza problemi che quella parte andrebbe suonata da un oboe (una storia vera!). Insomma, tutta questa diplomazia non faceva per me, mi sembrava solo una perdita di tempo. Poco tempo dopo Il gioco del falco, scrissi lo score di un film con Gene Hackman chiamato Due volte nella vita e lì capii che preferivo passare il tempo a scrivere musica che fosse solo mia. Praticamente mi ritirai. Una delle poche cose che scrissi in seguito fu nel 1996 per un piccolo film italiano, Passaggio per il Paradiso con Julie Harris in uno dei suoi ultimi ruoli. Fu una sfida personale perché registrai tutto in sei giorni tra date del tour e viaggi».

Chi è il tuo compositore preferito? 
«Probabilmente non sorprenderò nessuno rispondendo a questa domanda con il nome di Ennio Morricone. La sua creatività e la potente immaginazione che emergono dal suo lavoro continuano a sorprendermi anche oggi, dopo migliaia di ascolti».

Tra le poche colonne sonore che hai scritto negli ultimi anni c’è quella per un piccolo grande film spagnolo: La vita è facile ad occhi chiusi. 
«Ecco, questa invece è una storia insolita e decisamente speciale, per molte ragioni. Il mio grande amico Charlie Haden era stato chiamato dal regista, David Trueba, per scrivere la colonna sonora, ma era troppo malato per riuscire a lavorarci. Così mi chiama pochi giorni prima del termine di consegna del materiale dicendomi che non aveva ancora scritto nulla. Niente. Era nel panico. Così mi faccio mandare un montaggio parziale del film e cerco di capire cosa serve. Il film era davvero magico, un’opera davvero preziosa, ma aveva bisogno di molta musica e non capivo come aveva fatto Charlie a mettersi in quella situazione assurda. Comunque inizio a buttare giù qualcosa e lo mando a Charlie che, senza dirmi nulla, lo gira subito a Trueba».

Una scena de La vita è facile ad occhi chiusi 

Fine della storia?
«No, anzi. Charlie e David mi chiamarono il giorno dopo dicendomi che avrei dovuto scrivere io l’intera colonna sonora e anche piuttosto velocemente perché doveva essere chiusa nel giro di una settimana. Sapevo di dover aiutare Charlie, il problema era che stavo partendo per una vacanza con tutta la famiglia, una vacanza pianificata da mesi. Insomma, finì che scrissi e registrai gran parte della colonna sonora de La vita è facile ad occhi chiusi nel bagno della nave da crociera diretta alle Bermudacon mia moglie e i bambini in cabina. In cinque giorni avevo finito tutto. Non credo di aver mai scritto una cosa tanto velocemente. Tornato a New York presi subito un volo per Los Angeles dove affittai uno studio per incidere tutto quello che avevo scritto, sperando di avere anche Charlie sulle parti di basso scritte per lui. Riuscì a suonare qualcosa, purtroppo non tutto (Haden morì l’11 luglio del 2014, nda)».

Old friends: Pat & Charlie Haden.

Ma Trueba lo hai mai incontrato poi?
«Sì, sì, arrivò dalla Spagna per assistere alla registrazione e in meno di 72 ore il lavoro era finito. Così, facendo i conti, dall’inizio alla fine per scrivere e registrare lo score di quel film ci misi una settimana in tutto. La vita è facile ad occhi chiusi vinse poi otto Goya, tra cui anche quello per la miglior colonna sonora. Fu una missione quasi impossibile, ma fui felice di farlo per Charlie. Uscii dal mio ritiro dalle colonne sonore solo per lui. Tra me e Charlie c’era una connessione musicale molto forte che rifletteva la nostra grande amicizia, e quella collaborazione fu anche l’ultima volta che riuscimmo a fare qualcosa insieme prima che se ne andasse».

Ultima domanda: il suo film preferito?  
«Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Credo sia il film perfetto: una storia meravigliosa, un grande regista e la più grande colonna sonora di tutti i tempi…».

  • INTERVISTE | Dominic Miller: «Butch Cassidy e il suono di Babel»
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  • AUDIO | Pat Metheny reinterpreta il tema di Nuovo Cinema Paradiso:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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