MILANO – «Uno dei peggiori film che abbia mai visto». Lo definì così l’allora Presidente e CEO della Columbia Pictures, David Puttnam, già dietro I duellanti, Fuga di mezzanotte e Momenti di gloria, che, dieci anni prima della sua seconda vita politica nel Partito Laburista da Barone di Queensgate per salvare i propri asset filmici, ci metteva la faccia. E quel montaggio preliminare di Nikita – Spie senza volto proprio non lo convinceva. Lo disse chiaro e tondo al regista Richard Benjamin, reduce dal flop di Casa… dolce casa con Tom Hanks, che pure al tempo era un divo reduce dal successo di Splash. A dar forma e una certa fluidità narrativa ci pensò allora il veterano Jim Clark che, dopo due capolavori come Urla del silenzio e Mission, era il montatore di fiducia di Puttnam. Solo così Nikita raggiunse degli standard adeguati – secondo Puttnam – al punto da renderlo poi uno degli instant-cult della sua generazione.

Ma non è per particolari ragioni narrative se siamo qui nella puntata di Longform (QUI trovate le altre) a raccontare un film degli anni Ottanta come Nikita, che ora se cercate potete ritrovare in streaming su Prime Video e su AppleTV+. Certo, nel momento forse più cruciale della Guerra Fredda, l’idea di una narrazione che sullo sfondo di un sogno americano a tinte russe – forfettario nella forma ma sincero nella sostanza – veicolasse valori familiari e patriottici giungendo all’amore come linguaggio universale capace di superare anche le distanze politiche era lodevole. Era questa l’intenzione dello sceneggiatore, Bo Goldman, che pur di perseguirla giunse a un climax tanto benevolo quanto forzato e impossibile nella vita reale. Ciò che però rese, e rende, Nikita un’opera memorabile è la strana coppia (molto strana) di puro talento istrionico formata da Sidney Poitier e River Phoenix. Passato, presente e futuro (almeno al tempo) di Hollywood.

Per l’apporto dato da Phoenix a Nikita il regista Benjamin usò sempre parole al miele: «River? Ha saputo stare al passo di Poitier per tutto il tempo delle riprese. Hanno una grande chimica e River ha un istinto meraviglioso. Non è solo eccezionale: è reale. Non può fingere, ed è meraviglioso da vedere. Ha un piede nell’infanzia e uno nell’età adulta». Un atteggiamento affettuoso ma paternalistico quello di Benjamin, che non riscosse i favori del diretto interessato, all’epoca delle riprese un diciassettenne molto determinato che un anno dopo avrebbe anche ricevuto la sua prima (e unica) nomination all’Oscar per Vivere in fuga. Già sulla cresta dell’onda dopo Explorers e soprattutto dopo un cult come Stand by Me – Ricordo di un’estate diretto da Rob Reiner (che vi abbiamo raccontato qui) il quasi maggiorenne ma già maturo Phoenix accusò più volte Benjamin di trattarlo come un bambino.

Discorso diverso per Sidney Poitier che ci mise cuore, fascino, e personalità. Un po’ di tempo dopo Poitier rivelò come, nonostante gli recapitassero decine di centinaia di sceneggiature, Nikita riuscì ad interessarlo: «A pagina quindici ero interessato; era insolito. Temevo che a pagina quaranta avrei perso interesse e invece ero ancora lì. A pagina ottanta stavo volando: ho accettato subito». Lo affascinò il carisma e l’aura di mistero attorno al suo personaggio, Roy Parmenter: «Non sappiamo nulla su di lui. È uomo che si protegge. Quello che fa in Nikita è prendere decisioni contrarie a ciò che normalmente ci si aspetterebbe da qualcuno come lui». E il concept del film parte dall’intimità del conflitto per proiettarsi poi – in una progressiva escalation narrativa – sino ai massimi livelli: «Il conflitto in cui viene coinvolto è un microcosmo del conflitto tra ex-URSS e democrazie occidentali. Non ci sono soltanto la vita di un ragazzo e la sua famiglia, ma l’intera specie umana».

Si è sempre ritenuto fortunato Richard Benjamin (anche attore, lo abbiamo visto in Ray Donovan qualche anno fa) per aver potuto assistere sul set agli scambi recitativi di Poitier e Phoenix perché se è vero che per quanto originale il concept da family-spy movie di Nikita – Spie Senza Volto non brilla per vivacità artistica, ogni volta che le aure recitative dei due si combinano in scena il ritmo di Nikita si innalza considerevolmente. E diventa un film nel film. Un racconto impropriamente episodico dall’irraggiungibile cifra stilistica dove due titani della recitazione giocano con il materiale narrativo in dote ora amplificando la drammaticità del momento, ora sforando e giungendo nel terreno della commedia brillante. Si potrebbe perfino (e giustamente) usare la parola over-acting. Ma c’era tanto di quel talento e tanta di quella spontaneità recitativa in gioco che per Nikita e la sua sterilità narrativa c’era solo da guadagnarci.

Insomma non il più iconico e nemmeno il film manifesto della sua generazione Nikita, uscito in Italia il 31 maggio del 1988, ma diventato cult anche per la scomparsa prematura di River solo cinque anni dopo, nel 1993. Le cellule dormienti russe di Benjamin però (il padre era Richard Jenkins!), fecero a modo loro la storia del cinema dando vita a un sottogenere dello spy-movie che venticinque anni dopo troverà nuova linfa nel serial televisivo The Americans di Joseph Weisberg. Come tutti gli instant-cult che si rispettino anche Nikita ha subito – suo malgrado – la triste sorte dei flebili (e non richiesti) remake: Abduction – Riprenditi la tua vita del 2011 del compianto John Singleton. Con Taylor Lautner e Alfred Molina nei ruoli che furono di River Phoenix e Sidney Poitier, manco a dirlo di tutt’altra categoria tecnica e recitativa rispetto a questo innocuo (ma interessante) predecessore che oggi appare anche come un reperto storico della guerra fredda.
- LONGFORM | Qui le altre puntate della nostra rubrica.
- OPINIONI | River Phoenix e quell’assenza infinita
- VIDEO | I titoli di testa di Nikita -Spie senza volto.
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