ROMA – Sei episodi per due storie, Questa non è una canzone d’amore e Di rabbia e di vento. Come il Lato A e il Lato B di un vecchio vinile. Magari uno di quelli ascoltati da Carlo Monterossi nella sua casa milanese, con un telefono in una mano e un bicchiere di buon whisky nell’altra. Meglio poi se a cantare sia Bob Dylan, poeta amico e stella polare nelle cui note rifugiarsi quando i ricordi diventano troppi e la malinconia ti assale. Nato dalla penna di Alessandro Robecchi, l’investigatore per caso Moterossi esce dalle pagine della carta stampata e prende le sembianze di Fabrizio Bentivoglio nell’omonima serie disponibile in esclusiva su Prime Video. Dietro la macchina da presa Roan Johnson che, dopo I Delitti del Barlume e La stagione della caccia, prosegue il suo viaggio nel genere crime.

Questa volta a fare da sfondo alle storie raccontate non c’è la fittizia Pineta ma Milano. Una città lontana però dal ritratto unidimensionale fatto solo di Bosco Verticale e Tre Torri che ci mostra le sue varie anime, tra puttane nei bar di periferia e vecchie case di ringhiera. Il vecchio e il nuovo in perenne equilibrio e conflitto. Lo stesso che muove il protagonista incastrato in un lavoro che disprezza ma che gli ha regalato una vita agita per la quale si sente in colpa. Un investigatore per necessità prima – qualcuno lo vuole morto e Monterossi cerca di scoprire perché con i suoi fidati collaboratori Nadia (Martina Sammarco) e Oscar (Luca Nucera) – e per rabbia verso le ingiustizie dopo.

Mosso da sincero interesse per il prossimo, Monterossi finisce così per mettersi nei guai suo malgrado e restare invischiato in storie più grandi lui, tra killer professionisti e cimeli neonazisti, scambi di persona e una scia di omicidi. Roan Johnson si immerge nel mondo immaginato da Alessandro Robecchi e, insieme allo stesso autore e Davide Lantieri, si diverte a dargli forma e giocarci. E, come per i suoi precedenti lavori, prende i personaggi secondari e li eleva. Dalla già citata coppia di killer composta da Maurizio Lombardi e Gabriele Falsetta al sovrintendente Ghezzi con il volto di Dario Ribon passando per Tommaso Ragno con uno spiccato accento pugliese nei panni di Carella fino al capo della Polizia Cristina Gregori interpretata da Beatrice Schiros.

Il risultato è un crime attraversato da un lato da una vena blues che appartiene al disincanto e ironico distacco del suo protagonista – che poi distaccato non lo è affatto, anzi – e dall’altro da un’anima brillante e ironica affidata ai suoi comprimari. Intriso delle parole e delle note di Bob Dylan, Monterossi è un racconto in cui il ritmo vibra anche nei silenzi, negli sguardi, nelle pause di un Fabrizio Bentivoglio semplicemente perfetto nel dare voce e corpo a un uomo (auto)ironico dagli occhi tristi per un amore che non ha mai dimenticato. La scelta, azzeccatissima, di affidare la regia a Roan Johnson fa il resto e ci regala un giallo appassionante e che, lungo la via, ci strappa più di una risata per poi far calare un velo di malinconia. Come in una ballata blues.
- Roan Johnson: «I delitti del BarLume? Credo nel potere di una risata»
La video intervista per Monterossi è a cura di Manuela Santacatterina:
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