MILANO – Dietro le quinte del dietro le quinte? Più o meno perché Making Of segue le tracce di Simon (Denis Podalydès), un acclamato regista noto per i suoi film di denuncia sociale, una sorta di Ken Loach à la francese impegnato nella realizzazione del suo nuovo progetto. Sarà la storia di un gruppo di operai che lottano per evitare la delocalizzazione della loro fabbrica. Tutto bene? No, perché le riprese si trasformano presto in un’impresa piena di ostacoli: i produttori spingono per un lieto fine forzato, i finanziatori sono introvabili e la star del film, Alain (Jonathan Cohen, visto in Un anno difficile di Nakache e Toledano), con i suoi capricci complica costantemente le cose e tutti sembrano sull’orlo di ribellarsi. In mezzo a questo caos, Joseph (Stefan Crepon), una semplice comparsa con ambizioni da regista, si ritrova incaricato all’ultimo minuto di documentare il dietro le quinte di quello che potrebbe rivelarsi un disastro annunciato.

Making Of di Cédric Kahn è un netto cambio di direzione rispetto al precedente (bel) film, Il caso Goldman, uscito lo scorso maggio. Le premesse di questa commedia sociale, che lo vede sia come sceneggiatore che regista, combinano un umorismo caustico alla Boris con lo stile impegnato di Ken Loach, trasformando l’opera in un film nel film che traccia un interessante parallelo tra le lotte operaie e il mondo del cinema. E allora ecco che qui, gli artisti e i tecnici diventano gli operai in conflitto con i produttori, visti come “i grandi capi”. Nonostante una camera a mano sempre pronta a seguire Simon, non troviamo i classici movimenti da mockumentary o lo stile found footage, come ci si potrebbe aspettare da una storia incentrata sui dietro le quinte di un set cinematografico. Kahn, invece, sfrutta questa premessa per sviluppare un livello metanarrativo, intrecciando non solo le storie ma anche gli sguardi: la cinepresa si trasforma nel pubblico e il pubblico diventa parte attiva del racconto.

La pellicola si svela così per ciò che è: un’operazione voyeuristica che analizza a fondo la psicologia dei personaggi, in un gioco in cui il grande schermo diventa una sorta di “finestra sul cortile” per gli spettatori. In questo caso, il cortile è fatto di cemento, roulotte e problemi finanziari. Un po’ ricorda Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti per il modo in cui critica e ironizza sulle assurdità dell’industria cinematografica, anche se il film di Moretti era più intimo e autobiografico. Making Of, invece, si concentra sui suoi protagonisti creando una specie di assuefazione empatica, in particolare brilla quel fuoriclasse che è Denis Podalydès con l’ennesima interpretazione genuina quanto carismatica che fa la differenza.

E così il film abbandona presto i richiami proprio a Boris o Loach, scegliendo una strada personale e coinvolgente, in cui lo spettatore è tenuto “in ostaggio” – nel miglior senso possibile – e viene condotto, minuto dopo minuto, in una profonda esplorazione interiore tramite una nuova dose di introspezione. In questo senso è emblematica una delle ultime battute che pronuncia il produttore Marquez (Xavier Beauvois): «Il cinema è una droga». Una sentenza finale che, più che sottolineare la natura quasi ipnotica del film, parla del mezzo cinematografico stesso che, nelle mani di uno come Cédric Kahn, si fa catartico e psicologico per un vasto pubblico fatto di appassionati e non. Da vedere.
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