ROMA – Dopo il passaggio all’ultima Mostra di Venezia, ecco in sala Lubo di Giorgio Diritti, una storia di razzismo e ingiustizia che fa riflettere sugli eventi del passato tanto quanto su quelli del presente (questo presente). Ambientato tra l’Italia e la Svizzera in un arco temporale che va dal 1939 all’inizio degli anni Cinquanta, Lubo è la storia di un uomo alla disperata ricerca dei suoi figli in un mondo che non ammette la diversità. Lubo Moser (Franz Rogowski, sempre più bravo, notato da Diritti in La vita nascosta di Malick) è un giovane nomade di etnia Jenish che si guadagna da vivere insieme alla sua famiglia esibendosi come artista di strada, ma la minaccia nazista incombe sull’Europa e così Lubo è costretto ad arruolarsi per difendere i confini del paese.
Proprio quando sarà lontano dalla sua famiglia verrà a sapere della morte di sua moglie e del rapimento dei suoi tre bambini da parte delle autorità. Lì inizierà un viaggio che avrà risvolti inaspettati e confini morali molto labili. Tratto da Il Seminatore di Mario Cavatore (edito da Einaudi), con le sue tre ore di durata Lubo è un’opera imponente e toccante che si regge in gran parte sulle spalle del protagonista, interpretato da Rogowski (di recente visto prima in Disco Boy, poi in Passages). La vicenda che il film vuole denunciare riguarda l’odissea di un uomo nel mezzo di un dramma storico realmente avvenuto in Svizzera e legato all’associazione Pro Juventute, un’associazione che – con il pretesto di svolgere un’opera umanitaria per l’infanzia – mirava a sradicare il nomadismo eliminando le differenze etniche.
Per più di cinquant’anni molti bambini furono strappati alle famiglie e rinchiusi in istituti cattolici o dati in adozione, costretti a dimenticare le proprie origini, addirittura i propri nomi, un vero e proprio genocidio culturale. Con la sua potenza espressiva e la vastità di diffusione, il cinema porta alla luce vicende storiche spesso dimenticate o ignorate. E – seguendo l’avventura di Lubo – Diritti pone così lo spettatore davanti a quesiti imprescindibili come il peso delle autorità, il senso di giustizia e la chiusura di fronte alla diversità. Il genocidio culturale ed etnico è un tema su cui si sa ancora troppo poco ed è inevitabile pensare al ritrovamento nel 2020 di sepolture senza nome in Canada, riconducibili ai bambini nativi americani sottratti alle proprie famiglie per essere istruiti e integrati nella società.
Un’integrazione che, come in Lubo, passava per il rapimento e la violenza. E allora ecco che – scena dopo scena – il film diventa uno specchio del tempo che viviamo e dell’incapacità dell’uomo ad accettare e valorizzare la diversità. Una e mille storie, un monito per comprendere il passato e modificare il futuro e ancora una volta un’opera solida firmata da Diritti che con il suo cinema non smette di interrogare e interrogarci…
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- VIDEO | Qui sotto potete vedere una clip del film:
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