VENEZIA – Damien Chazelle ci porta sulla luna. E non certo in senso metaforico, ma facendoci salire sulla navicella spaziale dell’Apollo 11 dove l’umanità intera, quella sera del 21 luglio 1969, si è spinta verso il progresso. Una collisione luminosissima tra cinema e storia che lascia senza fiato attraverso il racconto, ma soprattutto le immagini de Il Primo Uomo. Un film che non solo riporta con potenza estrema un evento che ha cambiato gli orizzonti della conoscenza, ma un’avventura che rimane impressa per la magnificenza con cui ricostruisce l’immensità dell’universo.
Perché è proprio lì che Chazelle ci vuole. Nella claustrofobia delle navette progettate dalla NASA, in traiettoria verso quella superficie di grana fina che ricopre la luna, facendo fare il primo passo a Neil Armstrong e, contemporaneamente, a noi. Così quando Ryan Gosling, algido e intenso, scruta l’infinito all’apparenza irraggiungibile, è nei suoi occhi che ci immedesimiamo, è nel suo sguardo pieno di emozione che vediamo, di rimando, il nostro stupore. Per questo la soggettiva diventa nel film un elemento fondamentale, quell’incentivo a rendere la tensione parte integrante dell’esperienza cinematografica.
Pur ricostruendo anche gli anni precedenti all’approdo di Armstrong sulla Luna, è nella frenesia degli esercizi preparatori che la pellicola eccelle, nelle prove convulse di volo, raggiungendo il suo massimo traguardo nella grandezza della rappresentazione del viaggio, che scuote le percezioni dello spettatore. La velocità, gli scatti della macchina da presa – come se si trovasse al fianco del protagonista – e poi, improvvisamente, il silenzio. La luna è nello schermo, finalmente davanti ai nostri occhi e non è mai stata così bella.
Nel finale, poi, Il Primo Uomo dona all’immaginario cinematografico nuove forme con cui sognare quella sfera grigia appesa in cielo, puntando (anche) sull’assenza di rumori, quindi trionfando quando a primeggiare è il corpo celeste. Inquadrature nere e argentate che sprigionano imponenza, quadri contemporanei in grado di comunicare grazie all’innata capacità di linguaggio che Chazelle sa esprime con messa in scena e regia. Un lavoro spiazzante come la vastità verso cui puntarono Neil Armstrong e i suoi compagni e che rimarrà, come l’allunaggio, nella memoria del cinema.
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