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Netflix sì o Netflix no? La risposta di Venezia a Cannes sembra inequivocabile

La guerra fredda tra Mostra e Festival continua. E ora ecco le polemiche tutte italiane tra sala e svod

Venezia e Cannes non sono mai state così lontane tra loro, non solo geograficamente parlando. Tutto ha inizio lo scorso aprile, quando Thierry Frémaux, presidente del Festival di Cannes, decide di escludere i film targati Netflix dalla corsa alla Palma d’Oro, lasciando comunque la possibilità di essere proiettati durante la manifestazione. Una postilla: un film in competizione a Cannes non può essere presente su Netflix per i successivi trentasei mesi. C’era poco da fare, quindi, da parte del gruppo di Reed Hastings, per cui Ted Sarandos, responsabile contenuti Netflix, ha ritirato tutti i film dalla Croisette per non compromettere e penalizzare il mercato francese.

Ted Sarandos, boss di Netflix.

Invece Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia accoglie di buon grado i film lasciati da Cannes: Roma di Cuàron, The Other Side of the Wind, il lavoro perduto su Orson Welles, e Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, il racconto delle ultime ore di vita di Stefano Cucchi. Ed è proprio su questa pellicola, che uscirà il 12 settembre sia in sala, per Lucky Red, che in contemporanea Netflix in 190 paesi, Italia compresa, che nascono le critiche di Fice, Anec e Anem. Esercenti ed editori non vedono un’opportunità nell’allargare – o meglio, nello sdoppiare – la possibilità di fruizione di un film, quanto una penalizzazione della sala nei confronti dello streaming.

Il poster della Mostra del Cinema di Venezia

Spezziamo una lancia nei confronti di Barbera: la Mostra di Venezia è, per sua stessa natura, una mostra, appunto, pertanto ha il diritto e la facoltà di aprire le porte a qualsiasi tipo di prodotto artistico, come ha già fatto in passato e come, si spera, continuerà a fare in futuro. Ed è anche sacrosanto, che piaccia o meno, che molti contenuti autoriali oggi provengano proprio da quei player che si poggiano su un concetto di streaming prima che di sala.

Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia

Sì, il “però” è nell’aria. Ciò che probabilmente fa saltare la mosca al naso delle associazioni non è tanto Netflix in quanto produttore di contenuti, quanto la commistione tra sala e streaming, o, per meglio dire, la paura – concreta – che le piattaforme SVOD vadano a intaccare in maniera determinante il pubblico, abituandolo sempre di più alla fruizione in mobilità e disincantandolo, in maniera definitiva, dall’esperienza cinematografica così come la conosciamo. Ed è altrettanto vero che ci sia un minimo di scorrettezza nel presentare a una Mostra d’Arte Cinematografica dei film che, di fatto, in sala non usciranno mai.

Una scena di Sulla mia pelle di Alessio Cremonini

La penalizzazione del rapporto tra pubblico e sala appare evidentissimo ad Anem, Fice ed Anec, che oltre a vedersi scippati di una fetta consistente dei moviegoers vedono, forse, sparire anche gli investimenti ad opera delle major e delle distribuzioni, le quali, in un futuro che appare molto più vicino di quello che si crede, potrebbero cedere alle lusinghe dell’immediatezza dello svod all’obsoleto biglietto. Lucky Red abbraccia con gioia l’uscita contemporanea di Sulla mia pelle su Netflix e al cinema, mentre Warner Bros taglia la testa al toro vendendo direttamente alla piattaforma di Hastings, Mowgli – Il Figlio della Giungla.

Una scena di Mowgli – Il figlio della giungla, titolo Netflix.

La guerra fredda tra Venezia e Cannes diventa quindi una battaglia tra il vecchio e il nuovo, l’innovazione e la tradizione. La filiera cinematografica, come già detto, versa in una crisi profondissima, e i risultati Cinetel degli ultimi tre mesi confermano questo trend al ribasso. Correre ai ripari finché si è in tempo è scelta giusta da parte delle distribuzioni, ma non ci si deve stupire del fioccare di critiche e polemiche quando il salvagente lo lancia proprio quel nemico che non volevi avere…

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