MILANO – Lo avevamo lasciato un paio di mesi fa come Delegato Generale alla Settimana della Critica alla Mostra di Venezia e ora lo ritroviamo a Locarno, nuovo direttore artistico del Locarno Film Festival: «Beh, che dire? Da un grande potere derivano grandi responsabilità», ride Giona A.Nazzaro, «appartengo alla scuola Peter Parker quindi so bene il compito che mi spetta». Classe 1965, nato a Zurigo, già all’opera su festival come Rotterdam, Torino e Nyon, a Nazzaro ora tocca il compito di ripartire con l’edizione 2021 – in scena dal 4 al 14 agosto, qui – in un momento storico piuttosto complicato per il cinema e per i festival. Ecco cos’ha raccontato a Hot Corn.

LA RESPONSABILITÀ – «La responsabilità? È enorme, sento molto il compito che ho, senza dimenticare che la situazione globale è estremamente drammatica, quindi ai festival di cinema tocca davvero una sfida inaudita. La Mostra di Venezia è riuscita in un atto di coraggio incredibile e sembrava fossimo usciti dalla pandemia, ma era un augurio più che un dato di fatto e abbiamo visto poi come sono andate le cose. A Locarno però ci siamo già dati degli obiettivi precisi a cui stiamo lavorando e posso dire che si ripartirà da piazza Grande, cuore pulsante della città e del festival, la più grande sala all’aperto del mondo».

LA PRIMA VOLTA – «La mia prima volta a Locarno da spettatore? La ricordo molto bene: ero partito da Roma per andare a vedere al festival Au nom du Duce, il documentario che Amos Gitai aveva girato sulle elezioni italiane e in particolare a Napoli, stiamo parlando dei primi anni Novanta. La cosa che mi colpì immediatamente fu l’atmosfera assolutamente unica e il senso di comunità che si percepiva, una comunità consapevole e estremamente appassionata. Ricordo che arrivato a Locarno e percependo questa sensazione mi dissi che mi sarebbe piaciuto molto far parte di questo Festival …».

IL FESTIVAL – «Che festival mi piacerebbe fare? Un festival come quelli a cui il pubblico di Locarno è abituato da anni, all’altezza delle ambizioni di una industria complessa come quella del cinema, ma anche all’altezza di un pubblico generoso come quello che c’è solo qui. Avendolo vissuto da spettatore, faccio degli esempi: mi piacerebbe avere l’equivalente di Sotto gli ulivi di Abbas Kiarostami seguito da Speed con Keanu Reeves, come nell’edizione del 1994, oppure Vivere e morire a Los Angeles di William Friedkin e la retrospettiva dedicata a Leo McCarey, o ancora, le masterclass di Roger Corman, Leos Carax, Michael Cimino e Claire Denis senza dimenticare l’incontro esilarante tra Albert Serra e John Waters».

LA SFIDA – «La sfida principale non è solo quella di fare un festival, ma anche quella di tornare a celebrare la comunità che si raccoglie attorno al cinema, perché credo che questo come società permetta di sviluppare anticorpi contro la barbarie e la recrudescenza. In attesa di questo vaccino dobbiamo riprendere a considerare la cultura non come una cosa scontata, anzi: non dimentichiamo che la cultura è la prima linea di difesa di una comunità, se si abbassano le difese immunitarie della cultura il rischio è grande, non serve fare esempi. E Locarno ha ben chiaro questo compito».
- HOT CORN PICKS | Locarno Shorts Week e quel corto
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