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Life Is Not A Competition, But I’m Winning | Julia Fuhr Mann e le disuguaglianze nello sport

In concorso alla SIC 38, il documentario racconta di storie di sacrificio e coraggio tra passato e presente

Life Is Not A Competition, But I'm Winning
Una scena di Life Is Not A Competition, But I'm Winning

ROMA – Se la storia è scritta dai vincitori, che ne è di coloro a cui non è stato mai permesso di partecipare alla gara? Un collettivo di atleti queer entra nello Stadio Olimpico di Atene con l’intenzione di onorare coloro che sono sempre stati esclusi dal podio dei vincitori. Incontrano Amanda Reiter, una maratoneta transgender che ha dovuto confrontarsi con i pregiudizi degli organizzatori sportivi, e Annet Negesa, un’atleta degli 800 metri che è stata esortata dalle federazione sportive internazionali a sottoporsi a chirurgia ormonale. Insieme creano un’utopia radicale e poetica, lontana dalle rigide regole di genere degli sport agonistici. Parte da qui Life is not a Competition, But I’m Winning, primo lungometraggio di Julia Fuhr Mann, presentato in concorso alla SIC – Settimana Internazionale della Critica a Venezia.

Una scena del documentario girata ad Atene.

Un’opera ambiziosa Life is not a Competition, But I’m Winning, nata e costruita secondo il registro del documentario dalla Mann per raccontare di sacrificio e sport dagli inizi del Novecento ad oggi: «Il registro documentarista predilige mostrare i protagonisti mentre soffrono. Qui era fondamentale non usare la sofferenza per costruire una narrazione piena di suspense. Invece, momenti utopici di unione collettiva si intrecciano lentamente nelle vite dei protagonisti così come nella composizione visiva delle nostre immagini. La sofferenza e il dolore si fondono in una visione della comunità queer che costruisce una potente controparte alla violenza che è stata commessa». Perché si, è stata commessa. È proprio l’assunto alla base del racconto a ricordarcelo.

Amanda Reiter in una scena di Life is not a Competition, But I'm Winning
Amanda Reiter in una scena del documentario

Come possiamo dire che la storia (sportiva) è scritta dai vincitori se ad aver avuto voce in capitolo è stata solo una minoranza? Ecco, da qui Life is not a Competition, But I’m Winning si dispiega in un concatenamento armonico di immagini di oggi e di ieri (tra cui citiamo frammenti di Olympia – Festa di popoli di Leni Riefenstahl del 1938) che va oltre le etichette, le convenzioni e le generiche categorie. L’opera della Mann infatti è contemporaneamente un documentario, un atto di denuncia storica e un’azione di empowerment in formato filmico. Intenti artistici arricchiti, oltre che dalle voci della Reiter e della Negesa, da ritratti commuoventi e incisivi di alcune pioniere del mondo sportivo come Lina Radke, Wilma Rudolph e Stella Walsh.

Una scena di Life is Not a Competition, But I'm Winning
Una scena del documentario

Alla figura della Radke la Mann dedica ampio spazio nell’apertura di racconto: parliamo della vincitrice della medaglia d’oro negli 800 metri femminili ad Amsterdam, nel 1928, ovvero i primi Giochi Olimpici in cui furono ammesse anche le donne. Una medaglia preziosa che lo divenne ancora di più se consideriamo che la disciplina in questione verrà poi bandita dal Comitato Olimpico Internazionale nello stesso anno per essere riproposta soltanto a Roma, nel 1960. In quei trentadue anni di scarto la figura della Radke divenne leggendaria, specie considerando che il suo 2’16’8 – seppur migliorato tra Mondiali ed Europei – rimase imbattuto alle Olimpiadi. Nondimeno Wilma Gazzella Nera Rudolph, triplo oro a Roma nelle categorie 4×100 metri, 100 e 200 metri femminile, un’icona planetaria.

Attraverso le figure di Lina Radke, Wilma Rudolph e Stella Walsh, il documentario punta il dito contro le disuguaglianze di genere nel mondo dello sport
Il documentario punta il dito contro le disuguaglianze di genere nel mondo dello sport

Non solo da bambina la Rudolph rischiò di rimanere zoppa a causa di una poliomielite, ma dopo l’exploit di Roma scelse di ritirarsi. Infine Stella Walsh (nata Stanisława Walasiewicz), campionessa olimpica dei 100 metri femminili piani a Los Angeles, nel 1932. All’indomani di quel 4 dicembre 1980 in cui, a 69 anni, fu uccisa durante una rapina a mano armata a Cleveland, l’autopsia rivelò che la Walsh possedeva caratteristiche genetiche di entrambi i sessi. Questo spinse alcune organizzazioni a chiedere di cancellarne primati e successi. Cosa che (fortunatamente) non avvenne, ma la cui intenzione è la conferma quanto sia necessario che opere come Life is not a Competition, But I’m Winning – e giovani registe come la Mann – abbiano quanta più visibilità possibile nei cinema di tutto il mondo.

Qui sotto potete vedere l’annuncio della line-up della SIC 38:

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