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Le lacrime amare di Petra von Kant o della necessità di Fassbinder e del melodramma

Douglas Sirk, il teatro, l’allegoria, e quella profezia sull’ascesa dei blockbuster. Analisi di un cult

Petra von Kant, Fassbinder, il melodramma.
Petra von Kant, Fassbinder, il melodramma.

ROMA – «Ognuno deve decidere da solo se è meglio vivere un’esistenza breve ma intensa, o una vita lunga ma ordinaria». Lo disse Rainer Werner Fassbinder che quarant’anni fa – 10 giugno 1982 – scomparve in una circostanza che è perfetta immagine di ciò che ha rappresentato. Morì di overdose dopo un mix di cocaina e sonniferi e quando lo rinvennero fu trovato con accanto uno script di un biopic su Rosa Luxemburg. La sua creatività era talmente sconfinata che pure nella spirale discendente della sua vita (perfino nella morte) Fassbinder non smise di essere produttivo: «Del teatro mi interessa di più il lavoro, il processo di creazione. Del cinema il risultato». E, che ci crediate o meno, ci fu una volta in cui i due mondi artistici si fusero in un’unica entità narrativa, quando? Ma per Le lacrime amare di Petra von Kant ovviamente!

Margit Carsternsen e Hanna Schygulla in una scena de Le lacrime amare di Petra von Kant
Margit Carsternsen e Hanna Schygulla

Ma andiamo con ordine. Perché dopo Pionieri a Ingolstadt del 1971, Fassbinder scelse di prendersi una pausa di otto mesi. In questo periodo rivolse le attenzioni verso il melodramma hollywoodiano del tedesco – naturalizzato americano – Douglas Sirk (Magnifica ossessione, Secondo amore, Lo specchio della vita) per via delle tematiche sociali di repressione e sfruttamento, su cui aveva le idee chiare: «Non credo che il melò sia irrealistico. Ognuno ha il desiderio di drammatizzare le cose che gli accadono intorno. Prendete un film come Come le foglie al vento. Ciò che passa sullo schermo non è qualcosa con cui posso identificarmi direttamente nella mia vita. Dentro di me però, insieme alla mia stessa realtà, diventa una nuova realtà». Che lo script de Le lacrime amare di Petra von Kant l’avesse scritto in appena dodici ore (il tempo del volo Berlino-Los Angeles) non deve poi stupire più di tanto.

Margit Carsternsen è Petra von Kant in una scena de Le lacrime amare di Petra von Kant
Margit Carsternsen è Petra von Kant

Quintessenza del melò europeo reso nella forma di un kammerspiel dai feroci intenti nichilisti ma dalla regia intima e delicata nel dar volume e consistenza ad ogni centimetro dell’appartamento (da segnalare un uso della profondità di campo da manuale) in cui Fassbinder mette in scena dinamiche relazionali perverse e disgreganti di amore tossico e dipendenza, predominanza e sottomissione, tutte avvolte attorno alle lacrime amare di una Petra von Kant (Margit Carsternsen) dalla magnetica forza motrice-narrativa la cui inerzia caotica e alterna finisce con il costruirne la doppia effige caratteriale di traditrice/tradita, carnefice/vittima, fino a specchiarsi d’effimero nella claustrofobica solitudine del suo perfetto narcisismo decadente, acuito dall’estraniante sottofondo musicale dei Platters (Smoke Gets Into Your Eyes, The Great Pretender). Un concept vincente, dai perfetti equilibri, e soprattutto dalla doppia vita quello de Petra von Kant, concepito come opera teatrale in 5 atti per mano dello stesso Fassbinder.

I riflessi di Petra von Kant

Debuttò al Theater am Turm di Francoforte sul Meno il 5 giugno 1971 per la regia di Peer Raben. Fu un successo tale Petra von Kant che Fassbinder scelse poi di adattarla per il cinema amplificandone l’architettura ambientale di bambole, manichini e specchi riflettenti. C’è però una corposa differenza nel climax delle due opere. Laddove nella versione cinematografica Petra von Kant va a concludersi con il definitivo abbandono della domestica Marlene (Irm Hermann) così da segnare il solitario destino dell’omonima protagonista, in quella teatrale Marlene sceglie di restare con Petra divenendone l’oggetto del desiderio. Differenti risoluzioni del conflitto costruite da Fassbinder in funzione dello specifico medium: per il teatro «Per un pubblico più piccolo e specializzato» e per il cinema, dove «Se il metodo americano lascia al pubblico emozioni e nient’altro, io voglio dare allo spettatore emozioni insieme alla possibilità di riflettere e analizzare cosa sta provando».

Il “doppio” climax tra teatro e cinema

Ma non solo. Andando a leggere i titoli di testa de Le lacrime amare di Petra von Kant appare una dedica enigmatica «A colei che qui è diventata Marlene». Secondo due dei più rilevanti attori-feticcio di Fassbinder (Kurt Raab e Harry Baer), la scritta avrebbe riguardato i trascorsi teatrali con Raben. Nel ricercarvi una natura biografica alla base dello script – come tipico delle sue opere – sembrerebbe che l’omonima protagonista non sia altro che lo stesso Fassbinder, Sidonie (Karin Schaake) corrisponderebbe a Kurt Raab e la madre Valerie (Gisela Fackeldey) niente meno che a Liselotte Eder Fassbinder (la madre del regista). Il personaggio di Karin (Hanna Schygulla) vivrebbe invece di una duplice accezione. Oltre che alter-ego di Günther Kaufmann pare che Fassbinder ne avesse disegnato i contorni caratteriali sulla scia di una giornalista del quotidiano serale di Monaco nota per le sue recensioni sempre molto negative.

La duplice valenza del ruolo di Karin

Dal successo de Il fabbricante di gattini del 1969 in poi, divenne inaspettatamente molto amichevole. Nulla, comunque, per cui Fassbinder non disdegnasse di chiamarla con il dolce ed esplicito appellativo reso in sceneggiatura de «Piccola put**na schifosa». Anche per questo, lungo il suo retaggio cinquantennale (fu presentato alla Berlinale22 il 25 giugno 1972), Le lacrime amare di Petra von Kant è sempre stato poco apprezzato dalla generalità del pubblico femminile, status su cui Fassbinder si espresse così in merito: «I miei film sono per le donne, non contro di loro: quasi tutte le donne odiano Petra von Kant ma non vogliono ammetterlo. Guardo una donna in modo critico come guarderei un uomo. Le donne però sono più interessanti perché da un lato sono oppresse, ma dall’altro non lo sono del tutto visto che riescono ad usare l’oppressione come strumento di terrore: non è misoginia ma onestà».

Irm Hermann in una scena de Le lacrime amare di Petra von Kant
Irm Hermann è Marlene

O per dirla in modo ancora più semplice: «Trovo il comportamento delle donne altrettanto orribile di quello degli uomini. Cerco sempre di illustrarne le ragioni, di mostrare che siamo fuorviati dalla nostra educazione e dalla società in cui viviamo». Dalla sua Le lacrime amare di Petra von Kant sembrò arrivare in un particolare momento di fervore creativo/vitale per Fassbinder. Pochi mesi dopo la messa in moto della produzione teatrale, fondò la propria società di produzione cinematografica (Tango Film) inaugurandola con Il mercante delle quattro stagioni per poi sposarsi con l’attrice dell’Antiteater Ingrid Caven (da cui divorzierà nel 1973). Sempre nel 1972 girò a marzo Selvaggina di passo, tra aprile e agosto la miniserie televisiva Otto ore non sono un giorno, a settembre La libertà di Brema, e tra settembre e ottobre Effi Briest. E Petra von Kant? A gennaio, dieci giorni di riprese costate in tutto 325.000 marchi.

Le lacrime amare di Petra von Kant

C’è però come un’intrinseca organicità nello sviluppo dell’opus filmico fassbinderiano di cui il capolavoro del 1972 è senz’altro una delle colonne tematiche portanti. A detta di Fassbinder infatti «Ogni regista appena decente ha un solo soggetto e alla fine fa lo stesso film più e più volte. Il mio argomento-chiave è la sfruttabilità dei sentimenti, chiunque sia colui che li sfrutta. Non finisce mai. È un tema permanente, che sia lo Stato che sfrutta il patriottismo per far leva sulle volontà degli uomini, o una relazione di coppia in cui un partner finisce con il distruggere l’altro». Un viaggio tra padroni e manipolati popolato di 44 regie tra cortometraggi, lungometraggi e miniserie televisive in appena 16 anni di carriera che resero Fassbinder e le sue gemme filmiche (con Le lacrime amare di Petra von Kant ai primissimi posti) un grandioso esempio di leggendaria e artisticamente produttiva prolificità.

Irm Hermann e Margit Carsternsenin una scena de Le lacrime amare di Petra von Kant
Irm Hermann e Margit Carsternsen

Un opus filmico e televisivo che va oltre il concetto stesso di filmografia. Opere come L’amore è più freddo della morte (l’esordio del 1969 ispirato a Frank Costello Faccia d’Angelo), Il fabbricante di gattini, Il soldato americano, Le lacrime amare di Petra von Kant, Otto ore non sono un giorno, La paura mangia l’anima, Nessuna festa per la morte del cane di Satana, Un anno con 13 lune, Roulette Cinese, Il matrimonio di Maria Braun, Berlin Alexanderplatz, Querelle de Brest, dai titoli così coloriti, quasi gemellari della nostra Lina Wertmüller, per Fassbinder rappresentavano molto più che semplici film, ma autentici mattoni di vita: «Spero di costruire una casa con i miei film. Alcuni di loro saranno la cantina, altri le pareti, le finestre, ma spero che con il tempo ci sarà una casa», per un’assenza sempre più marcata nel panorama filmico, allora come oggi, quarant’anni dopo.

Sullo sfondo: Midas and Bacchus, di Nicolas Poussin

Era infatti un uomo di grande lungimiranza Fassbinder. Nel documentario di meta-cinema Chamber 666 di Wim Wenders ambientato nella sua camera d’albergo a Cannes, tra intervistati eccellenti del calibro di Jean-Luc Godard, Michelangelo Antonioni, Werner Herzog e Steven Spielberg, c’era proprio Fassbinder che alla domanda postagli dal co-fondatore del Nuovo cinema tedesco – «Dove andrà a finire il cinema?» – diede una risposta che saprà inquadrare perfettamente l’attuale stato dell’industria: «Si stanno realizzando meno film, si stanno come polarizzando. Un filone del cinema sarà roboante e grandioso, interamente orientato al generare sensazioni, poi però ci sarà il cinema individuale o il cinema nazionale dei singoli cineasti quasi più importante del cinema in sé e non diverso per qualità dalla televisione». Per dirla in altri termini: blockbuster e serializzazioni cinematografico-televisive di intrattenimento di massa anticipati di trent’anni. Incredibile vero? No, solo Fassbinder!

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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