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La storia (da rileggere) dietro un’istantanea memorabile: Il Saluto

Peter Norman, protagonista cosciente di una fotografia storica: il suo racconto in sala il 16 e il 17 ottobre

NFL, stagione 2016/2016. I giocatori, durante l’intoccabile The Star-Spangled Banner, suonato negli stadi prima delle partite, si inginocchiano in segno di protesta, contro gli abusi della polizia verso gli afroamericani. Eh sì, nemmeno tanto velatamente, (anche) manifestando dissenso verso l’attuale inquilino della White House. 2018, un anno dopo, la Nike, sceglie per una delle sue migliori campagne pubblicitarie, proprio Colin Kaepernick, ex quarterback dei 49ers e – letteralmente – portabandiera del movimento di protesta nella lega NFL. Attualmente, nonostante sia uno dei personaggi del momento, Kaepernick è senza squadra e, pensate un po’, ha pure citato in giudizio la stessa lega. Ma, questa, è (forse) un’altra storia. Perché bisogna fare un passo indietro di cinquant’anni esatti, arrivando fino al 16 ottobre del 1968.

Peter Norman, Tommie Smith e John Carlos subito dopo il podio.

Siamo in Messico, fuori dal villaggio olimpico il mondo è in tumulto: si corre verso la Luna ma, intanto, le fratture sociali e razziali sono forti: la Primavera di Praga, Robert Kennedy e Martin Luther King, le rivolte giovanili, il maggio francese e lo stesso Messico che, dieci giorni prima dell’apertura delle XIX Olimpiadi, fu macchiato di sangue, con la repressione omicida dell’esercito su un gruppo di manifestanti pacifici. No, quelle Olimpiadi, quei giochi sportivi, non erano iniziati affatto con il piede giusto. E, in un colpo di storia sportiva e umana da fotografia fondamentale di tutto il Novecento, arrivò il giorno dei 200 metri piani. La gara, la vinse (con tanto di record) Tommie Smith, seguito al terzo posto da John Carlos, entrambi americani, entrambi afroamericani, col secondo posto andato a Peter Norman, bianco, australiano.

peter norman
Era il 16 ottobre 1968.

Sul podio, nel momento preciso in cui ogni atleta ha immaginato di trovarsi, mentre risuona l’inno nel gremito Stadio Olimpico Universitario, Tommie Smith e John Carlos, abbassano la testa e alzano al cielo il pugno, a simboleggiare il Black Power, la lotta contro i soprusi, contro il folle dominio bianco. Uno dei momenti più forti della storia, raccontato in un documentario, Il Saluto (Salute), diretto da Matt Norman (il nipote) e concentrato su uno degli aspetti poco ricordati della vicenda. Del resto, quel podio arriva anche in Australia, terra di Peter Norman, quel bianco di spalle a far la figura della comparsa, finito in quella foto quasi per caso. Ma no, Peter Norman, oltre ad essere stato un grandissimo atleta, è stato parte attiva in quell’istante di memoria olimpica e mondiale. Così come Tommie e John, anche Peter portava sul petto la spilla dell’Olympic Project fot Human Rights.

Le tre medaglie, insieme, qualche anno più tardi.

Infatti, pure nella placida Australia, il razzismo era dilagante, forse ancor di più di quello statunitense. Migliaia e migliaia di aborigeni allontanati dai loro luoghi nativi, fatti schiavi, uccisi. Così, Peter, quando tornò in Patria, non venne affatto accolto bene, anzi. Venne escluso dai giochi del ’72, nonostante la qualificazione, e, assurdo ma vero, non fu invitato come tedoforo ai Giochi di Sydeny del 2000. Eppure, Peter, è stato il più grande velocista australiano di sempre. Sì, come spesso accade, i riconoscimenti e le scuse – inutili, quasi beffarde – sono arrivate troppo tardi, quando ormai Peter non c’era più. Così, tra interviste d’archivio e immagini analogiche, Matt Norman rimette insieme i pezzi di quegli istanti in cui la politica e sport si mischiaro, in un messaggio globale, che risuona incredibilmente chiaro in ogni emisfero. Cinquant’anni fa esatti, come se non fossero mai passati.

Qui il trailer del documentario

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