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Michael Moore: «Fahrenheit 11/9, Trump e l’importanza della Resistenza»

America, politica, azione e il potere del cinema: il regista racconta il suo nuovo documentario

Michael Moore alla première di Fahrenheit 11/9 a Los Angeles. Foto Shutterstock.

Michael Moore era un fiume in piena quando lo abbiamo incontrato al Toronto Film Festival. Alternava invettive politiche con l’apprensione per il ritorno negli Stati Uniti, soprattutto dopo la prima mondiale del documentario Fahrenheit 11/9, tra i titoli in programma alla Festa del Cinema di Roma. Anche stavolta spara a zero sulla situazione attuale del suo Paese, a partire dalla condanna del Presidente in carica. Ma non ha risparmiato né i suoi predecessori – Barack Obama incluso – né la sua diretta antagonista, Hillary Clinton. In un pericoloso paragone tra Donald Trump e Adolf Hitler, il regista si è poi lanciato in una serie di recriminazioni che spaziano dagli interessi economici ai comportamenti tra le “mura domestiche”.

Basel Hamdan, Meghan O’Hara, Moore, Carl Deal, Tia Lessin e Tom Ortenberg al TIFF. Foto di Presley Ann.

GWEN STEFANI «Quando Donald Trump si è reso conto che alla NBC Gwen Stefani è stata pagata più di lui per The Voice ha totalmente perso il controllo e ha deciso di candidarsi alle presidenziali. Le mie dichiarazioni precedenti sono state un po’ distorte: non ho detto sia stata colpa della pop star se lui, mandato via da The Apprentice, è poi arrivato alla Casa Bianca».

Gwen Stefani durante una blind audition a The Voice.

IL DOCUMENTARIO «Con questo lavoro vorrei che la gente, come ho fatto io, si chiedesse come siamo finiti in questo casino politico. Il documentario parla di cosa voglia dire essere americani oggi: Trump non è affatto piovuto dal cielo, è in giro da tanto, basta guardarsi indietro per capire cosa sia successo».

I poster del documentario condivisi su Instagram da Michael Moore.

LA RIBELLIONE «La speranza? È passiva, non serve. Invece abbiamo bisogno di azione perché siamo in guerra e dobbiamo riprenderci il nostro paese, gli Stati Uniti d’America. Sono convinto che il cinema sia l’unico modo per raggiungere il grande pubblico. Pensiamo alla classe media: non si può più permettere il costo di un concerto o di una partita di basket a differenza di un biglietto del cinema. Dobbiamo far sì che ne valga la pena».

Il regista a Flint in una scena di Fahrenheit 11/9.

LA RESISTENZA «Durante la lavorazione del film ci sentivamo come ai tempi della Resistenza francese, provavamo lo stesso senso di urgenza di cambiamento. Una settimana dopo l’annuncio del progetto mi ha contattato l’agenzia delle entrate (IRS, Internal Revenue Service, ndr), cosa mai successa in tutta la mia vita. Avranno fatto i conti e si sono resi conto che per eccesso di zelo ho pagato somme in esubero. Probabilmente rifiutano l’idea che il governo debba ridarmi dei soldi, e con gli interessi!».

Michael Moore alla Women’s March in New York. Foto Shutterstock.

HITLER «Perché ho realizzato il documentario? Perché sarei stato uno stupido a non parlare di quello che succede o a prenderlo sottogamba, sperando nell’impeachment o in altro. Ricordiamoci quello che è successo con Hitler, quando persino alcuni editorialisti ebrei invitavano alla calma, dicendo che la Costituzione li avrebbe protetti…».

Un paragone fotografico condiviso da Moore su Instagram.

IL CANADA «Ero nella sala d’attesa dell’AirCanada prima dell’imbarco per Toronto a LaGuardia di New York e mi sono ritrovato a sorridere quando la hostess ha annunciato: “Hanno imbarco prioritario le famiglie con bambini e i musicisti con strumenti musicali al seguito”. Come a dire: “Ci interessano i vostri figli ma non tagliamo l’arte”. Questo la dice lunga sulla civiltà di questo Paese e mi piacerebbe tanto vedere Justin Trudeau a confronto con il nostro Presidente».

  • Qui potete vedere il trailer di Fahrenheit 11/9:

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