ROMA – «E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante cancella col coraggio quella supplica dagli occhi. Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante. E quasi sempre dietro la collina il sole». C’è una scena circa alla metà de La Scuola Cattolica, il film diretto da Stefano Mordini liberamente ispirato all’omonimo romanzo Premio Strega di Edoardo Albinati, che racchiude in sé dolcezza e atrocità. La dolcezza è quella di due ragazze, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, che cantano spensierate e felici La collina dei ciliegi di Lucio Battisti piene di fiducia in una vita che sognano davvero «luminosa e più fragrante». L’atrocità è quella dolorosa di chi guarda e sa che il sogno di quelle due ragazze finirà chiuso nel bagagliaio di una FIAT 127 bianca per mano di Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido.
Presentato Fuori Concorso a Venezia 78, La Scuola Cattolica ripercorre uno dei fatti di cronaca nera più atroci della storia del nostra Paese: il delitto del Circeo. E stupisce che il film di Mordini sia stato vietato ai minori di 18 anni con una motivazione che punta il dito sulla «sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice». Eppure il film, proprio attraverso la figura di un giovane Albinati (Emanuele Maria Di Stefano), sorta di voce narrante di questa storia e compagno di classe del fratello di Izzo, si muove su due binari paralleli. Mordini, insieme a Massimo Gaudioso e Luca Infascelli, realizza una sceneggiatura corale nel racconto della meglio gioventù di un liceo cattolico destinato ai figli dell’alta borghesia romana in cui avevano studiato anche Izzo, Ghira e Guido.
Intessendo più linee narrative che abbracciano anche le figure genitoriali – rappresentate da Valentina Cervi, Riccardo Scamarcio, Valeria Golino e Jasmine Trinca -, La Scuola Cattolica mette in scena i due «gusci», famiglia e scuola, chiamati a crescere quei giovani uomini ma che finiranno per nascondere sotto il tappeto «una montagna di polvere». Eppure il film mostra, in una sequenza idealmente parallela, chi è in grado di fermarsi davanti a un limite e chi invece sceglie deliberatamente la sopraffazione altrui. Il film di Stefano Mordini non mostra mai la violenza in scena ma la evoca, ad esempio, negli occhi dell’Izzo di un ottimo Luca Vergoni, nelle suppliche sfinite della Donatella di Benedetta Porcaroli e della Rosaria di Federica Torchetti.
Un film imperfetto, in cui è pressoché assente la vicinanza agli ambienti fascisti dei tre carnefici e che, in virtù di quella coralità narrativa, tende in certi passaggi a non mantenere costante il ritmo, ma che ha una valenza sociale importante ancora oggi. Il film si chiude ricordandoci che la violenza sessuale, fino al 1996, era contro la morale. Donatella e Rosaria furono massacrate prima fisicamente e poi moralmente da stampa e opinione pubblica che imputava loro la colpa per quanto accaduto. In pratica se l’erano andata a cercare salendo su quella FIAT 126. E basta aprire a caso l’homepage di un giornale qualsiasi o accendere la TV per ascoltare ogni giorno storie di donne che «se la sono andata a cercare» per essere andate a correre al parco da sole, aver messo una gonna troppo corta, aver risposto male a un uomo…
Vedere film come La Scuola Cattolica, lasciarsi schifare e travolgere da quella violenza gratuita, dall’impunità, dal terrore provato da Donatella e Rosaria, da quell’assenza di rispetto per la donna, vista come un trofeo, un pezzo di carne che non vale nulla «né da viva né da morta», è quanto mai necessario anche per gli adolescenti, donne e uomini di domani. Parlare loro, dargli gli strumenti per capire la differenza tra le vittime e i loro carnefici (nel caso ne avessero davvero bisogno), tra il giusto e lo sbagliato, per prendere atto del peso della responsabilità di chi sbaglia e non di chi subisce. Si chiama, nell’accezione più ampia del termine, educazione.
- Stefano Mordini: «La scuola cattolica, l’impunità di ieri e le responsabilità di oggi»
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Qui sotto potete vedere il trailer de La Scuola Cattolica:
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