ROMA – Una domanda: e se i supereroi che amiamo fossero il frutto dei supereroi stessi (senza mantello ma con la matita in mano), immortali al tempo e, talmente geniali e potenti, da essere stati in grado di modellare l’immaginazione dei bambini? Non solo, quegli autori, dagli appurati poteri, nella Golden Age dei fumetti – a cavallo tra gli Anni Venti e Quaranta, su e giù per le scale degli infiniti piani dell’Empire State Building, tra un editore e l’altro – hanno lottato per affermarsi e, soprattutto, a non farsi fregare da quelle case editrici senza scrupoli. Ma, al netto di tutto, quello fu un periodo magico, ruggente, esplosivo. Tra la Fifth Avenue e Lafayette Street, fino a Lexington Avenue, si vedevano girare, scoppola in testa e scartoffie sotto braccio, una quantità di giovanotti dal molto talento ma dalla troppa inesperienza, pronti a (s)vendere i loro characters per offerte, puntualmente, al ribasso.
Alcuni di loro, la storia, l’hanno impressa e, per immergervi in quel delicato periodo storico, a cavallo tra le due Guerre, vi consigliamo di recuperare il romanzo Le Fantastiche Avventure di Kavalier & Clay (Rizzoli), firmato da un autore come Michael Chabon, che ha per protagonisti due cugini ebrei e la loro ascesa tra i fumettisti dell’epoca – trama di finzione, ma non è difficile rintracciare contorni di verità – o andarvi a rileggere l’assurda storia che vi avevamo raccontato su Bob Kane, Batman e la paternità condivisa con Bill Finger. Oppure, in un esaltante incontro d’arti e di linguaggi, andarvi ad assaporare Joe Shuster, il bellissimo fumetto – anzi, graphic novel – pubblicato qualche anno fa (era il 2018) da Bao Publishing (lo potete vedere qui). Come avrete capito dal titolo, l’opera ha per protagonista il papà di un certo Mister Superman, insieme all’altro genitore, Jerry Siegel.
Joe, canadese, figlio di immigrati ebrei (esatto: come i personaggi raccontati da Michael Chabon nel suo libro), diede vita a Superman non tra i grattacieli della Grande Mela ma, pensate un po’, molto più lontano, a Cleveland, assieme al suo amico Jerry. Avevano diciotto anni, non avrebbero mai immaginato che quell’icona – Shuster ai disegni, Siegel ai testi – sarebbe stata in grado di smuovere la cultura pop, di influenzare milioni di lettori in tutto il mondo, di diventare manifesto dell’eroe venuto da lontano che combatte un male, invece, molto vicino. Così – troppo puri, troppo nobili – di quella loro creazione, diedero (tutti) i diritti all’Action Comics (poi diventata DC) che, come accadeva solitamente, li ricompensava con una misera paga.
Ma, in questo caso, parliamo di Superman e di due delle figure più influenti del Ventesimo Secolo. Quindi, dopo essere stati cancellati dai credits, vennero riconsiderati solamente negli Anni Settanta, con una pensione a vita per entrambi e, finalmente, con la loro firma su qualsiasi cosa raffiguri il mitologico mantello rosso. E, in un gioco di colori e tavole, la graphic novel Joe Shuster – sceneggiatura di Julian Voloj, i disegni sono di Thomas Campi –, ripercorre l’avventura di Shuster e Siegel, in un’opera che si fa biografia, libro di storia, fumetto avvincente.
Con le emozioni pennellate a colpi di acquarelli delicati, e le immagini che ricordano quegli splendidi spot Anni Sessanta. Il tutto, giocato su un flashback: si parte dal Queens e si entra in un dinner vicino al Sunnyside, con Shuster che, caduto in disgrazia, narra il romanzo suo, della sua famiglia, di Bill e di Clark Kent. C’è il dramma e c’è la sofferenza nella storia di Joe, nonostante il (tardivo) lieto fine, quasi a ricordare che, dietro ogni grande uomo ci sono grandissimi problemi. Con quel super-potere – chiamatelo come volete: immaginazione, sogno, fantasia – come unica arma di difesa. Recuperatelo.
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