ROMA – Istmo, opera quarta di Carlo Fenizi, si aggiunge alla lista di film che approdano direttamente in streaming. Abbiamo contattato il regista per parlare del film, dei suoi significati e di come sta cambiando il nostro rapporto con il cinema. Con Michele Venitucci (Tulipani, Italian Movies) e Antonia San Juan (Tutto su mia madre, Il buco), Istmo è un appello alla libertà dell’uomo, al valore delle relazioni autentiche e a una vita che, là fuori, vale la pena di essere vissuta. Uno specchio della società, della solitudine che si annida tra le sue pieghe e della forza di combattere i propri demoni. Dal 20 maggio su CHILI.
Come è nata l’idea per Istmo?
È nata in un momento complicato: due sceneggiature scritte che avevano incontrato difficoltà nel prendere vita. Nel cassetto, però, c’era un soggetto che avevo scritto e che un giorno raccontai a Michele Venitucci (Orlando, il protagonista) e fu lui ad incoraggiarmi a svilupparlo. Di base c’era il desiderio di raccontare il modo di relazionarsi delle persone nel mondo contemporaneo attraverso i social network. Dalla disillusione passai all’attacco: nell’arco di pochi mesi avevo una sceneggiatura pronta, una produzione fondata insieme ad altri due soci (tra cui Maria Antonietta Di Pietro, la mia storica collaboratrice) e si era pronti ad iniziare questo viaggio.
Orlando è un influencer che si rende conto di come sui social l’importante sia fare colpo sulle persone e “spaccare”. Come giudica il rapporto della nostra società con i social network?
Il film non demonizza i social network, che oggi rappresentano uno strumento fondamentale sotto molti aspetti. Il mondo si evolve e con esso le dinamiche della comunicazione. Il film è una riflessione, però, sulla qualità dei rapporti che si stabiliscono attraverso questo nuovo canale e sul rischio di perdere un’identità a favore di un’altra che non ci rappresenta, finendo per provocare in noi solitudine e disconnessione dal reale. Forse il rischio più grande è disabituarsi alla bellezza dei rapporti dal vivo e della loro autenticità.
Uno degli elementi centrali è la musica, che rispecchia l’ambiente multietnico in cui Orlando vive e permea molte scene. Perché questa attenzione al sonoro?
Le musiche originali (firmate da Gianpio Notarangelo) insieme al mondo dei suoni, raccontano, tra gli altri mezzi espressivi del film, il bivio interiore di Orlando, in bilico tra la protezione dell’auto reclusione e la pericolosità di un mondo indomito. C’è la malinconia e l’intimismo del pianoforte, l’evocazione primitiva delle percussioni, i suoni del mare, del vento, del volo.
Nel film ricorre molte volte il tema della libertà, mai così attuale in questo periodo in cui ci viene limitata. Pensa che la libertà venga dall’esterno, da ciò che ci circonda, o è qualcosa di molto più intrinseco e intimo?
Ritengo che la libertà sia il frutto di un percorso difficile ed interminabile nell’arco della vita di un uomo. Questa, come altri valori fondamentali, non può esistere senza un confronto costante con l’esterno e con l’altro. La libertà si nutre di esperienza e contatto, due parole chiave del mio film. L’elaborazione avviene in un percorso interiore, ma l’osmosi tra fuori e dentro è imprescindibile. Orlando ne è la prova e forse, oggi più che mai, c’è un Orlando in ognuno di noi che si interroga e che scopre un nuovo orizzonte al di là dell’istmo.
A un certo punto Antonia dà una descrizione molto sentita e profonda dell’esperienza di vedere un film in sala. Come pensa cambierà il nostro rapporto con la sala cinematografica una volta finita questa esperienza e, soprattutto, pensa che sopravviverà?
È una delle scene che preferisco del film. Il rapporto con la sala, purtroppo, era già cambiato prima dell’emergenza sanitaria. È un’evoluzione naturale che, nonostante tutto, trovo interessante e addirittura più libera. La magia e la bellezza della sala cinematografica, però, è unica e incomparabile e comporta momenti attivi di vita esperibile. Mi auguro che alla riapertura si possa riequilibrare il sistema cinema (tradizionale), armonizzandolo con l’universo delle piattaforme digitali, affinché i film si possano distribuire e fruire con più equità in termini economici e con maggiore varietà di contenuti.
Quali sono le sue ispirazioni per il cinema?
Tutta la mia linea registica è incentrata su una versione personale di realismo magico. Per questo motivo le ispirazioni rispetto ai grandi autori vanno verso una messa in scena non completamente realistica: Buñuel, Almodovar, De la Iglesia, Burton, e il nostro Fellini. Un’ispirazione importante è derivata dai miei studi umanistici e anche dall’attività d’insegnamento. L’ispirazione più grande, però, sono «le umanità», l’osservazione della realtà nel quotidiano, ciò che ho vissuto e ciò che vivo. Manzoni diceva «tanto nelle cose piccole, come nelle grandi (…) osservare, ascoltare, paragonare, pensare».
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Qui potete vedere il trailer ufficiale di ISTMO
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