VENEZIA – «Ho dei ricordi meravigliosi qui a Venezia. Quando ero ragazzo, venivo a giocare, da tennista. Alcuni miei allievi mi indicavano Nanni Moretti, dicendo che quello era un grande regista. Non pensavo che un giorno sarei stato qui, in concorso…». Sorride, Matteo Garrone, che con il suo Io Capitano approda per la prima volta a Venezia dopo aver percorso il red carpet di Cannes per cinque volte e essere stato due volte alla Berlinale. Ma cos’è Io Capitano? Un viaggio che rimanda ai poemi omerici, alle fiabe, tanto care al regista che da sempre nel corso della sua carriera le ha volute raccontare in ogni loro sfumatura, estetica e diversità. Questa volta il regista ha scelto di virare verso la realtà e narrare il viaggio della speranza di due giovani, Seydou e Moussa, che lasciano la loro città, Dakar, per raggiungere l’Europa.
IL VIAGGIO – «In Senegal esistono tanti tipi di migrazione. Quelle legate alla guerra, ma non solo. Nel mio lavoro di ricerca ho constatato che quella che noi chiamiamo globalizzazione, lì è arrivata forte come qui da noi. Hanno una finestra costante sull’Europa, per diversi motivi. In molti, tantissimi giovani, vivono una condizione di povertà dignitosa, in cui aleggia sempre il desiderio – legittimo – di voler accedere ad un futuro migliore. Così come noi da piccoli volevamo scoprire l’America, loro lo fanno per l’Europa. Solo che per arrivarci devono spesso affrontare sfide mortali. È un’ingiustizia di fondo a cui loro stessi fanno fatica a dare una risposta. Mi piace dire che in fondo Io Capitano parla dei giovani, e del loro modo di voler scoprire il mondo…».
LA SCENEGGIATURA – «La scelta di Massimo (Ceccherini, nda) non è casuale. Con lui ho costruito un bel rapporto in questi anni. Mi aveva già aiutato in Pinocchio, quattro anni fa. Io Capitano è un racconto d’avventura popolare, non ci sono sovrastrutture intellettuali. Lui viene dal popolo e quando scriviamo ha una conoscenza di dinamiche drammaturgiche sorprendenti. Ha una semplicità da bambino, capisce esattamente qual è il sentimento della scena. È per questo racconto è stato di grandissimo aiuto. La narrazione segue un po’ il viaggio come struttura dell’eroe. Spero un giorno possa essere visto nelle scuole, dai giovani. E che possano sensibilizzarsi, prendere coscienza dei privilegi che hanno. Cannes? Cos’è? (sorride, nda). Scherzi a parte, ho ricordi meravigliosi qui a Venezia. La prima volta da regista è stata quando avevo 28 anni, con Ospiti. Dormivo tre notti in un caravan al campeggio e tre notti all’Excelsior. Sono felice per essere qui per la prima volta in concorso. Sono certo che un festival come questo possa dare un grande supporto al nostro film».
I PROTAGONISTI – «Quando racconto una storia voglio sorprendermi. In Africa non esiste una sola migrazione. È un territorio formato da 52 Stati ed esiste una migrazione all’interno dell’Africa stessa. Non tutti hanno i soldi per arrivare in Europa. I protagonisti sono due ragazzi che ho incontrato in Senegal, abbiamo fatto un lungo lavoro di provini, sia lì che in Francia, in Italia. Ma ci siamo resi conto che era diverso lo sguardo. Avevano tanto talento, me ne ero accorto subito. Esistono milioni di ragazzi che non hanno paura di seguire il proprio sogno, molti altri non hanno il coraggio. Con Io Capitano ho cercato di far vedere le differenze di questa coppia di protagonisti: uno ha paura e l’altro cerca di convincerlo. Questo cerca di raccontare il film, una storia universale ma che risiede in ognuno di noi e che riguarda ognuno di noi. In questi anni questa storia è stata sempre con me. Soltanto che da borghese avevo paura di risultare quello che volesse speculare su una questione difficile come quella della migrazione…».
LA FAVOLA – «È vero, anche in questo film c’è spazio per la favola. Forse ci avevo pensato quando avevo immaginato di fare un pinocchio migrante, che – paradossalmente – è una storia che si sposa bene con quella di Io Capitano. Collodi quando scriveva pensava di mettere in guardia i piccoli dalla violenza. Il viaggio dei nostri protagonisti è – in fondo – proprio questo: inseguire il paese dei balocchi scontrandosi con le violenze circostanti. Io sento un incontro tra questi due filoni che ho percorso nella mia cinematografia. La parte onirica? Era fondamentale per raccontare la loro anima. I sogni ti fanno capire i sensi di colpa. E questo è un lavoro che si muove su due percorsi paralleli, uno geografico, avventuroso e l’altro più interiore…».
- PREVIEW | Io Capitano, Garrone e l’Odissea di Seydou e Moussa
- HOT CORN TV | Una scena in anteprima di Io Capitano di Garrone
- REVISIONI | Rivedere L’imbalsamatore vent’anni dopo
Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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