ROMA – Questa volta dalla DreamWorks Animation arriva una nuova sfida: Il Robot Selvaggio di Chris Sanders, adattamento della quasi omonima (e straordinaria) opera letteraria di Peter Brown, Il Robot Selvatico (edita in Italia da Salani nel 2016). L’avventura segue il viaggio di un robot – l’unità ROZZUM 7134, aka Roz – che dopo un naufragio si ritrova su un’isola disabitata dove dovrà imparare ad adattarsi all’ambiente circostante, costruendo relazioni con gli altri animali dell’isola come Fink la Volpe e adottando un’ochetta orfana di nome Brightbill. Una storia emozionante sulla scoperta di sé stessi, un’analisi sul legame tra tecnologia e natura, un’esplorazione di cosa significhi essere vivi e connessi agli esseri viventi. Nel cast originale di doppiatori Lupita Nyong’o, Pedro Pascal, Catherine O’Hara, Bill Nighy, Kit Connor e Stephanie Hsu. Dal 10 ottobre al cinema con Universal Pictures.
È nato quasi per caso il romanzo originale di Brown, o per meglio dire, dal caso dettato da un disegno improvvisato: Un robot sulla cima di un albero. Poi una didascalia a basso rilievo – un po’ alla maniera degli sketch umoristici del The New Yorker – con cui Brown ha provato a chiedersi: «Cosa farebbe un robot intelligente nella natura selvaggia?». Sette anni dopo la sua pubblicazione, la DreamWorks ne annuncia l’adattamento cinematografico con Chris Sanders alla regia, Jeff Hermann in produzione e Dean DeBlois come executive. Un libro, Il Robot Selvatico, entrato silenziosamente nella vita di Sanders grazie all’adolescenza della figlia Nicole, che gliene aveva parlato in maniera gioiosa da prima. Dopo l’ingaggio della Dreamworks andò finalmente a leggerlo, innamorandosene perdutamente: «È allo stesso tempo, ingannevolmente semplice ed emotivamente complesso».
«Mi piacciono le storie e i personaggi che non hanno paura di provare emozioni e di rischiare molto. Mentre scorrevo le pagine, sentivo sempre di più di essere la persona giusta per portarlo sullo schermo. Ho visto tutto. Proteggere il carattere e lo spirito di una storia mentre si trova un modo per tradurlo in un film è una cosa delicata, e qualcosa che hai una sola possibilità di fare bene. Ero sicuro di poterlo fare». Sanders ha così contattato Brown per il suo Il Robot Selvaggio sottolineando come sarebbe stata la gentilezza – oltre che la maternità – il punto focale del film, e come questa potesse essere un’abilità di sopravvivenza a questo mondo. Ma non solo, perché ROZZUM7134 è un robot assistente della Universal Dynamics programmata per svolgere qualsiasi tipo di mansione che gli umani le richiedono.
Dotata di grande perspicacia e di intelligenza intuitiva, ROZZUM7134 è in grado di apprendere istantaneamente e di imitare qualsiasi gesto. Questo le permette di sopravvivere in qualsiasi condizione avversa. La trovata narrativa de Il Robot Selvatico e Selvaggio di Brown prima e Sanders poi, sta nel catapultarla in un mondo disabitato. Un avamposto isolato, abbandonato e mai veramente toccato dalla civiltà. Ci sono solo animali: Il più classico dei Mondi Straordinari narrativi. Ed è sulle interazioni con la fauna locale che Il Robot Selvaggio gioca con intelligenza attraverso siparietti comici e brillanti che via via finiscono con l’essere sempre più seri e introspettivi. Su di essi Sanders costruisce una riflessione acuta sull’essere e il sentirsi diversi e sul senso di sopravvivenza. In circostanze difficili, a volte, è necessario andare oltre la propria natura, o quella che ROZZUM7134 chiamerebbe la propria programmazione.
Uscire dalla comfort-zone, aprirsi alla vita e non avere rimpianti, accettare il proprio destino senza paura dell’ignoto o di soffrire, e se lo circostanze lo ritengono opportuno: superare i propri limiti. ROZZUM7134 capisce che non tutte le sue funzioni emotive vengono elaborate da processi cerebrali e programmatici. C’è qualcos’altro che si muove al suo interno. La genitorialità con il piccolo Brightbill scatena in ROZZUM7134 nuovi moti vitali che la spingono sino al punto di cambiare radicalmente sé stessa andando oltre il proprio protocollo di programmazione. Un tempo lo avremmo definito essere umani. Qualcun altro potrebbe semplicemente definirlo amore. ROZZUM7134, o più semplicemente Roz in questo caso perché svicolata dalla sua esigenze industriali e (molto) più umana di certi uomini, resta, nonostante tutto.
Nonostante gli incidenti, lo scorrere delle stagioni, la batteria deteriorata e una missione lontanissima dalla propria programmazione, rimane. Rimane perché sono le sue viscere robotiche di cavi e parti metalliche a dirglielo. Ed ecco il vero cuore de Il Robot Selvaggio. Un’opera dipinta di animazione fotorealistica magnifica su cui Sanders costruisce una storia profonda, dolce e tenera, sull’accettazione del diverso e sul rispetto e la libertà, sull’armonia dell’uomo con la natura e sulle possibilità della vita, ma soprattutto sulla più pura e nobile essenza dell’amore. Personaggi come Roz e Fink diverranno parte di voi perché spigolosi ma adorabili. E il merito qui è tutto del comparto vocale tra gli originali Nyong’o-Pascal e gli italiani Esther Elisha e Alessandro Roja che vi hanno dato voce, personalità e caratterizzazione.
In tal senso, il consiglio qui da Hot Corn è di avvicinarvi a Il Robot Selvaggio con cautela, senza aspettative, o per meglio dire, a mente sgombra e cuore libero. Assieme a Il Ragazzo e l’Airone, Inside Out 2 , I Mitchell contro le Macchine e Klaus – I segreti del Natale, quello di Sanders è tra i miglior film animati del decennio in corso. Un’opera umana, sensibile e travolgente di cui sentiremo parlare ancora tanto e a lungo.
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