ROMA – Trecento anni dopo il regno di Cesare, diverse società di scimmie sono emerse dall’oasi in cui Cesare condusse la colonia prima di morire. Dopo un attacco da parte di un clan guidato da un altro scimpanzé, che ha distorto gli insegnamenti di Cesare, i membri del clan di Noa vengono ridotti in schiavitù. Nella sua avventura, Noa unisce le forze con Raka, un orango, e Mae, una ragazza, intraprendendo un viaggio che lo porterà a mettere in discussione tutto ciò che gli è stato insegnato sul passato. Parte da qui Il Regno del Pianeta delle Scimmie di Wes Ball con protagonisti Owen Teague, Freya Allan, Peter Macon, William H. Macy e Kevin Durand. Ora al cinema con 20th Century Studios.

Un progetto a lungo rincorso da Wes Ball – da tutta una vita – precisamente da quando, da bambino, ricevette in dono una videocassetta de Il Pianeta delle Scimmie, film del 1968 di Franklin J. Schaffner con Charlton Heston, che continuò a visionare moltissime volte per diversi anni: «Sembrava un’epopea storica. Questo astronauta viaggiava nel tempo e si ritrovava in un mondo che sembrava quasi medievale, popolato da queste scimmie: fu il primo film di fantascienza che vidi. La rivelazione alla fine del film era un’idea sconvolgente, che diede inizio alla mia fascinazione per la fine del mondo». L’occasione, quindi, di prendere parte al franchise con Il Regno del Pianeta delle Scimmie è quanto di più vicino a un sogno divenuto realtà per Ball. Non esattamente.

Perché nel 2019, quando Ball ricevette la proposta di ravvivare il franchise dopo la cancellazione del suo adattamento fantasy della serie a fumetti Mouse Guard a seguito dell’acquisizione della Disney, rispose picche e per una ragione ben precisa: «La verità è che la mia prima risposta è stata assolutamente no! Come avrei potuto proseguire la storia degli ultimi tre film? Non ero interessato a raccontare le avventure del figlio di Cesare, anche se sarebbe sicuramente una storia grandiosa. Allo stesso tempo, non volevo abbandonare ciò che Rupert Wyatt e Matt Reeves avevano creato con la trilogia di Cesare. Avevano diretto dei film fenomenali. In termini narrativi sono pieni di concetti fantascientifici e affrontano questioni che riguardano l’umanità: le classi sociali, le razze, cosa significhi essere umani».

Si trattava, quindi – con Il Regno del Pianeta delle Scimmie – di trovare una soluzione narrativa in modo da omaggiare il recente passato e al contempo andare oltre in modo da permettere alla narrazione di camminare con le proprie gambe: «Dal punto di vista narrativo colpiscono perché pieni di concetti fantascientifici ma affrontano questioni che riguardano l’umanità: e quindi le classi sociali, le razze e cosa significhi l’essere umani. Così ci venne in mente l’idea di rimanere nello stesso universo. Siamo ancora parte del mondo di Cesare, ma molti anni dopo, in modo da esplorare ciò che ne è stato di Cesare e della sua leggenda, e che ne è stato della sua eredità, delle sue idee. Vediamo ciò che è accaduto al mondo che è stato abbandonato, ciò che si eroso con l’assenza dell’umanità».

In questo, il concept de Il Regno del Pianeta delle Scimmie appare fenomenale perché, su ammissione dello stesso Ball: «Il film è un sequel ma anche un prequel. Nel senso che ci troviamo esattamente nel mezzo. Da una parte onoriamo da dove veniamo con la trilogia di Cesare e il lavoro compiuto da Wyatt e Reeves, dall’altra iniziamo a dirigerci verso quel mondo narrativo raccontato da Schaffner nel ’68 in cui le scimmie parlano e hanno la democrazia. Questo è esattamente l’approccio che abbiamo adottato». Su di esso, Ball costruisce un’epica – o sarebbe meglio dire, la prima parte di un’epopea – di grande e glorioso cinema fantascientifico d’evasione dal world-building stratificato e di immagini distopiche a perdita d’occhio con cui immergere lo spettatore in un mondo altro.

Un mondo dove l’eredità di Cesare – definito da Ball come: «Uno dei grandi protagonisti della storia del cinema. Spiritualmente, Cesare è presente in tutti gli elementi de Il Regno del Pianeta delle Scimmie. Le sue idee sulla moralità e la correttezza, il suo rapporto con gli umani: tutto ciò viene esplorato da un punto di vista quasi mitologico» – è storia prima, mitologia poi, e infine dottrina con i suoi insegnamenti. Sulle differenti interpretazioni della stessa, Ball spinge l’acceleratore sulla componente allegorica del film raccontando di scimmie come uomini percorsi da cupidigia, passioni, desideri e ideali. E quindi i conflitti, la guerra, la pace, la civilizzazione e il viaggio verso l’ignoto di quel Noa che da semplice e ingenuo sopravvissuto finisce con il diventare eroe e (nuova) guida del suo popolo.

E poi la magia del mocap che ci regala un Owen Teague sempre più certezza in queste vesti inedite e un Kevin Durand mai così mefistofelico, per poi svelare, stavolta in carne e ossa, quella Freya Allan al primo progetto cinematografico che conta dopo le fatiche sul piccolo schermo di The Witcher. A conti fatti, Il Regno del Pianeta delle Scimmie non è soltanto un grande film di fantascienza, e nemmeno (semplice) testimonianza filmica del genio registico di un Wes Ball ancora relativamente giovane (e tutto da scoprire dopo la trilogia di Maze Runner), è letteralmente l’unico modo possibile per provare a raccontare qualcosa di nuovo in un franchise storico, longevo e leggendario come quello de Il Pianeta delle Scimmie. Aspettando i sequel naturalmente…
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