ROMA – «Ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità». Ricordate questa frase? Sono passati vent’anni dagli eventi de Il Gladiatore e dalla morte di Massimo Decimo Meridio e troviamo Lucio Vero (Paul Mescal), nipote dell’ex imperatore di Roma Marco Aurelio e figlio di Lucilla, con sua moglie e suo figlio in Numidia. I soldati romani guidati dal generale Marco Acacio (Pedro Pascal) la invadono, costringendo Lucio alla schiavitù. Ispirato dal ricordo della storia di Massimo, Lucio decide di combattere come gladiatore mentre si oppone al dominio dei giovani imperatori Caracalla (Fred Hechinger) e Geta (Joseph Quinn). Ci siamo: ventiquattro anni dopo l’epico peplum con Russell Crowe e gli Oscar ecco finalmente Il Gladiatore II di Ridley Scott, sequel atteso e discusso per anni, al cinema con Paramount e Eagle Pictures. Ma com’è? È valsa la pena aspettarlo?
Un film agognato, Il Gladiatore II, rincorso da oltre vent’anni. E dire che gli oltre 465 milioni e mezzo di dollari del predecessore non avrebbero dovuto lasciare dubbi in merito a una sua realizzazione. Era semplicemente l’idea giusta a mancare. I primi timidi approcci iniziarono nel 2002 con John Logan alla sceneggiatura e una trama ambientata quindici anni dopo gli eventi del primo film. Le guardie pretoriane governavano Roma e un Lucio ormai adulto era alla ricerca del proprio padre biologico. Concept poi ampliato in favore di una struttura prequel-sequel alla maniera de Il Padrino – Parte II dove avremmo scoperto gli anni formativi di Massimo Decimo Meridio. A un certo punto, i meno giovani lo ricorderanno, si parlò perfino dell’ipotesi resurrezione per l’agente scenico di Crowe.
Avete capito bene, resurrezione, nel senso letterale del termine. Nick Cave (quel Nick Cave, proprio lui!) delineò uno script dal titolo Christ Killer incentrato sugli elementi mitici dell’Antica Roma. La sua visione de Il Gladiatore II immaginava Massimo nell’Aldilà alle prese con anime in attesa di ascendere e un incontro con il dio Giove che lo avrebbero rispedito sulla Terra per trovare e uccidere il semi-dio Efesto prima, e Gesù Cristo e gli Apostoli poi. Come se non bastasse, gli dei pagani avrebbero, infine, indotto Massimo a uccidere il figlio Lucio con l’inganno per poi condannarlo a un’errante vita immortale. Nel climax immaginato da Cave avremmo visto Massimo combattere nelle Crociate, in Normandia durante la Seconda Guerra Mondiale, in Vietnam, sino a ritrovarlo dietro una scrivania a Washington, al Pentagono.
Non si andò oltre un discorso interlocutorio per questo Il Gladiatore II, ma era evidente che un concept simile sarebbe stato garanzia di Razzie Awards per la produzione targata DreamWorks e Universal Pictures. E non solo perché l’idea di riportare in vita Massimo Decimo Meridio avrebbe depotenziato – sino ad annullare del tutto – la carica emotiva ed epica del climax del predecessore, ma perché una simile scelta narrativa avrebbe fatto a fette tutta la gloriosa epica dell’originale Il Gladiatore in favore di un tono fantasy che per quanto suggestivo sulla carta – e per certi versi pienamente in linea con le storie legate alla mitologia classica – avrebbe funzionato poco al cinema generando un cambio di tono fin troppo netto e drastico.
Fu chiaro a tutti come l’unico modo perché Il Gladiatore II potesse funzionare per davvero era accantonando il passato – e con lui Massimo e il suo percorso narrativo – per incentrarsi interamente sul presente, vale a dire su Lucio. Un’occasione di racconto importante, irripetibile, con cui far rivivere Massimo attraverso gli aneddoti, le gesta e la memoria del figlio naturale. Quando i tempi sembravano maturi perché potessimo finalmente parlare di un principio di pre-produzione, l’imprevisto. Nel 2006 una DreamWorks in difficoltà economica fu acquistata dalla Paramount Pictures che decise di interrompere la realizzazione del film. Questo fino al 2017 quando fu il pubblico stesso a desiderare la visione di un sequel. In quei diciassette anni, infatti, Il Gladiatore ha visto il proprio eco filmico crescere a dismisura.
Perché era – ed è – un capolavoro, un peplum moderno capace di rievocare in immagine l’epica e la potenza di film come Ben-Hur che resero immortale il genere nei decenni d’oro del cinema moderno americano. Ma è soltanto nel settembre 2021 che si è potuto finalmente parlare in termini sostanziosi de Il Gladiatore II, con lo sceneggiatore David Scarpa che lavorò in coppia con Scott simultaneamente a questo script e a quello di Napoleon. Oltre dieci mesi di tormenti creativi per poi decidere di tornare al punto di partenza, allo script originale di John Logan opportunamente rivisitato con Lucio unico sopravvissuto del film precedente e un andare oltre Commodo nella dinastia romana per lasciare il posto ai fratelli Imperatori Caracalla e Geta.
Da Phoenix all’inedita (e pirotecnica) coppia Quinn-Hechinger che de Il Gladiatore II sono rivelazione e piacevole sorpresa. Nemmeno più di tanto poi – sorpresa – visto il talento dei due giovani interpreti che viaggiano spediti verso carriere luminose, ma serviva decisamente una doppia, folle ed esplosiva minaccia per alzare la posta in gioco del sequel. Anzi tripla, perché c’è anche un Washington in formato Alonzo Harris/Training Day nel navigare nei panni caratteriali del suo Macrino in un irresistibile ascesa al potere. E lo stesso avviene con i suoi eroi. Accanto al Lucio di un Mescal indomabile, coraggioso e tenace, alla sua prima vera esperienza fisica fuori dal terreno dei drama a sfondo romantico, c’è il Marco Acacio di Pascal, tra i personaggi più interessanti della narrazione di Scott.
Se Lucio è il motore del racconto fungendo da raccordo con l’originale, ma anche retaggio e futuro narrativo nella sua spasmodica ricerca di vendetta mosso da desideri irrisolti di un amore spezzato, Marco è invece uno straripante contenitore valoriale. È l’antagonista di Lucio, simulacro di tutto ciò che gli è contrario, è un Generale romano ma soprattutto un uomo che vorrebbe riporre la spada nel fodero, smettere la guerra e vivere la propria vita accanto a sua moglie Lucilla (Connie Nielsen). Un personaggio classico eppure ricco di sfumature, mitologico e commuovente. E in queste componenti, nella scrittura dei suoi agenti scenici e nelle performance, Il Gladiatore II funziona magnificamente proprio come ci si aspetterebbe da un film di Ridley Scott, non tutto torna fino in fondo però.
La narrazione cresce in armonia nella sua struttura rievocativa del predecessore nell’impianto e nella linearità. C’è l’epica, il respiro kolossal e l’ambizione del miglior Scott di Blade Runner, American Gangster, ma anche quello minore di Tutti i soldi del mondo e House of Gucci che qui torna in soluzioni dozzinali, esplicite, inutilmente eccessive che inficiano sino a zittire bruscamente la forza evocativa delle sue splendide immagini. È il manifesto totalizzante del cinema di Scott, Il Gladiatore II, nel bene e nel male. Ma la sensazione, a visione ultimata, è quella di aver preso parte a qualcosa che è molto più di un semplice film. Un evento cinematografico propriamente detto: un’opera storica nel vero senso della parola che riecheggerà per sempre nell’eternità della memoria.
Lascia un Commento