MILANO – Quando Sofia Coppola scrisse la sceneggiatura de Il giardino delle vergini suicide aveva solo ventisette anni. Due anni dopo, nel maggio del 1999, il film debuttò alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes (in Italia arrivò in sala solo a settembre). Cresciuta all’ombra del padre Francis era diventata famosa qualche anno prima per le critiche spietate alla sua interpretazione di Mary Corleone ne Il Padrino – Parte III, un ruolo pensato per Winona Ryder che disertò all’ultimo momento per un problema di salute. Ma quell’anno sulla Croisette di uno dei festival più importanti del mondo, Sofia Coppola fece ricredere in molti con il suo adattamento dell’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides.
«Quando avevo circa 20 anni, mi sono imbattuta nel libro. Non sapevo davvero che volevo diventare un regista fino a quando non l’ho letto. Ricordo di aver visto la copertina con solo quei capelli biondi. L’ho adorato. Sembrava che Jeffrey Eugenides comprendesse davvero l’esperienza di essere un adolescente: il desiderio, la malinconia, il mistero tra ragazzi e ragazze», ha ricordato la regista sulle pagine del Guardian, «Ho adorato il modo in cui i ragazzi erano così confusi dalle ragazze, e mi sono davvero sentita connessa a tutto quel crogiolarsi nella propria camera da letto. Non mi sembrava di averlo visto molto nei film, non in un modo in cui mi potessi relazionare. Ho visto la storia come il racconto del modo in cui operano distanza, tempo e memoria, lo straordinario potere dell’insondabile».
Ambientato nel Michigan di metà anni Settanta, Il giardino delle vergini suicide racconta la storia delle sorelle Lisbon, Therese (Leslie Hayman), Mary (A.J. Cook), Bonnie (Chelse Swain), Lux (Kristen Dunst) e Cecilia (Hanna R. Hall), cinque adolescenti dai capelli color grano cresciute da una madre severa (Kathleen Turner) e un padre dal temperamento molle (James Woods) nella periferia di Detroit. Un’adolescenza sacrificata, asfissiante, fatta di regole e divieti che mostra i primi segni di ribellione nel tentativo di suicidio della più piccola di loro, Cecilia. Una storia della quale ci viene raccontato subito il tragico epilogo dalla voce narrante, rappresentante di quel gruppo di ragazzi del vicinato affascinato e incuriosito da quelle ragazze per loro indecifrabili.
Un’informazione che permette a Eugenides prima e alla Coppola poi di indirizzare l’attenzione del racconto altrove, perdendosi nei dettagli della quotidianità dilatata delle ragazze. Un’atmosfera sognante fatta di smalti e profumi, vinili dei Kiss e cataloghi di luoghi esotici grazie a cui sognare di perdersi tra le strade di Calcutta o tra i templi in Giappone. Prigioniere nella loro stessa casa, inascoltate, le sorelle Lisbon erano «donne travestite che capivano l’amore e la morte», la cui consapevolezza le porterà al gesto più estremo. Così la loro vita diventa un cumulo di se, di possibilità inespresse, di vuoto.
Il giardino delle vergini suicide rimane, oltre vent’anni dopo il suo esordio, un film seminale in cui Sofia Coppola ha saputo fotografare la malinconia, lo struggimento ma anche quei riti – solo apparentemente banali – tipici dell’adolescenza con uno stile registico onirico e pop che ha accompagnato poi tutta la sua filmografia. Ma dietro quella patina sognante, la regista ha messo in scena un dramma fatto di incomunicabilità, oppressione sociale e resistenza estrema. La stessa che porta le ragazze ad incatenarsi all’albero del giardino di casa, destinato ad essere abbattuto, simbolo – proprio come loro – di vita contro la morte.
Un’opera capace di influenzare il cinema successivo – basti pensare alle sorelle protagoniste di Mustang di Deniz Gamze Ergüven – nelle suggestioni come nelle tematiche. A fare da eco la colonna sonora degli AIR, eterea come le sorelle Lisbon, per un film in cui le domande rimangono senza risposta. Resta solo il rimpianto di un gruppo di ragazzi che non ne è mai riuscito e risolvere l’enigma dietro quei sorrisi tristi. «Scoprimmo che le ragazze sapevano tutto di noi e che noi non potevamo capirle affatto. Cercammo di dimenticarle, ma ovviamente era impossibile».
- Sofia Coppola, solo figlia d’arte? No, autrice originale | Il podcast di Hot Corn
Qui potete ascoltare un brano della colonna sonora degli AIR:
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