Damiano Panattoni ROMA – Finalmente anche il cinema italiano si sta accorgendo che le nuove generazioni hanno molto (molto) da dire. Nuovi talenti, nuove idee, nuovi volti. Nuove inflessioni che provano a mettersi a pari, in una poetica europea (e mondiale) che ha messo al centro i millennials. Che piaccia o no loro sono il futuro, e allora ben vengano film come Il Filo Invisibile di Marco Simon Puccioni che, vestendo i panni del coming-of-age, affronta un tema conflittuale e nevralgico, nonché strettamente contemporaneo. La società è cambiata, di conseguenza anche la famiglia è cambiata (o meglio, si è liberata). In questo percorso diventa fondamentale superare i pregiudizi e l’odio (politico e sociale) di genere, in quanto è vitale riconoscere legalmente le coppie delle stesso sesso e, di controparte, riconoscere i loro figli, se si vuol essere considerati un Paese civile.
Su questo, essenzialmente, ruota il film in parte autobiografico di Puccioni, che per il ruolo del protagonista Leone ha scelto il bravo Francesco Gheghi, tra le migliori facce del nuovo cinema italiano (ve lo avevamo detto a Venezia oltre un anno e mezzo fa qui) e che somiglianza con Tom Holland. Vicino a lui il talento di Filippo Timi e Francesco Scianna, che formano una coppia – a tutti gli effetti – formidabile. La storia? Quella di un ragazzo di 16 anni e due suoi due papà, Simone e Paolo. Leone, appunto, è nato in California grazie a Tilly (Jodhi May), che ha aiutato i genitori a metterlo al mondo. Il ragazzo è impegnato in una sorta di video diario scolastico sulla famiglia, quando la “normalità” fa il suo corso: Paolo scopre che Simone lo tradisce da due anni. Questo altera – e non poco – l’equilibrio, con Leone che intanto cerca di vivere la sua vita, resa ancor più bella (e complicata) da Anna (Giulia Maenza, che ci ha raccontato il film qui).
Nulla di rivoluzionario, chiaro, eppure Il Filo Invisibile, sorretto da un cast indiscutibilmente forte, con dolcezza e semplicità illumina argomenti che su cui è importante concentrarsi; l’amore – e la felicità – ci dice il film di Puccioni (prima in sale selezionate e poi in streaming su Netflix dal 4 marzo) non dovrebbero mai essere messi in discussione, né dall’asfissiante burocrazia (che fatica per Simone e Paolo essere riconosciuti legittimi genitori di Leone) né da una normalità sociale spacciata per apertura mentale, quando invece è solo l’ennesimo slogan da sfoggiare quando fa più comodo – e in questo caso la mamma di Anna, interpretata da Alessia Giuliani, è l’esempio perfetto di una certa mentalità solo all’apparenza progressista.
Costruito con i toni della commedia – un po’ alla francese, un po’ all’americana – il regista si è basato su una sua esperienza personale – nel 2012 aveva già iniziato il progetto documentaristico My Journey to meet you, con al centro le vicende dei genitori omosessuali –, senza però voler mai essere dogmatico, stilizzato o ideologico. C’è molto cuore ne Il Filo Invisibile (che sopperisce, ogni tanto, la sensazione di una vaga staticità), e lo si sente grazie ad una vicenda che in quasi due ore trasmette sincerità ed emozioni, facendo di quel filo invisibile un legame assoluto che, nonostante tutto, è impossibile spezzare…
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